La tragedia di un uomo ridicolo (1981). Regia: Bernardo Bertolucci. Interpreti principali: Ugo Tognazzi, Anouk Aimée, Laura Morante, Victor Cavallo, Vittorio Caprioli, Renato Salvatori, Olimpia Carlisi, Ricky Tognazzi
L’Italia dei rapimenti sembra sepolta in un lontano passato. Tra tutti i reati, è stato scritto, il sequestro di persona a scopo di estorsione era quello dall’esito più incerto e dal rischio maggiore. Eppure c’è stato un tempo in cui il timore di subire un rapimento era concreto, tanto che molte famiglie che si sentivano a rischio avevano deciso di trasferirsi all’estero.
Primo Spaggiari si è fatto da sé, fino a diventare il proprietario di un caseificio nella bassa parmense. Ha una moglie francese, Barbara, donna raffinata quanto lui è terragno, e un figlio di vent’anni, Giovanni, che il giorno del suo compleanno gli fa trovare in ufficio un completo da capitano. Un biglietto sarcastico accompagna il regalo: lui, che era stato partigiano, dopo aver fatto i soldi si è comprato la barca, come l’ultimo dei cafoni arricchiti. Il figlio non perdona al padre la perdita dei propri ideali e glielo fa notare così. E proprio mentre Primo si pavoneggia sul tetto della sua proprietà come sulla tolda della nave, con il binocolo vede per caso le fasi concitate del rapimento di suo figlio che sta tornando a casa.

Colto da un momento di disperazione dopo che le forze dell’ordine hanno concluso i rilievi, Primo vaga nel canneto davanti casa urlando la paura di perdere per sempre Giovanni. Quasi subito viene avvicinato da Laura, operaia del caseificio e fidanzata di Giovanni; e poco dopo da Adelfo, prete operaio e amico di Laura. Comincia a frequentarli, in particolare Laura della quale si è infatuato, per capire chi sono le persone che conoscevano quel figlio così lontano molto meglio di lui, sempre impegnato con l’azienda. Mentre sta raccogliendo il denaro del riscatto, anche attraverso l’aiuto di alcuni notabili locali che lo guardano come un parvenu, seduti sulle loro poltrone del circolo più esclusivo della città, Primo viene a sapere che il figlio potrebbe essere stato ucciso. La notizia arriva da Laura e Adelfo, che gli consigliano comunque di utilizzare quel denaro per salvare la fabbrica, che sta navigando in pessime acque.
Non potendo salvare la famiglia di sangue, Primo decide che proverà a tenere in piedi quella che ha costruito con il suo lavoro. La stessa che, crescendo e ingrandendosi anno dopo anno, lo ha fatto allontanare dal figlio e diventare un uomo ricco.

Dopo aver consegnato la valigetta con il denaro, Primo torna alla sua casa-castello sconsolato. Nell’ultima scena, in una balera che si raggiunge camminando su assi di legno sopra terreni fangosi, Giovanni riapparirà come per miracolo. Chi è stato a rapirlo? A chi sono andati i soldi del riscatto? Chi sono in realtà Laura e Adelfo, e come facevano a conoscere gli sviluppi del rapimento? Come ne “Ultimo tango a Parigi”, anche questo film si conclude su una pista da ballo. In modo incruento e più oscuro, malgrado la festa stia coinvolgendo tutto i presenti. Rivolgendosi all’obiettivo, quasi a rispondere alle domande degli spettatori, Primo dirà “Il compito di scoprire la verità sull’enigma di un figlio rapito, morto e resuscitato lo lascio a voi, io preferisco non saperlo”.
Fotografato da Carlo Di Palma e con le musiche di Ennio Morricone, è un film che avevo sempre associato a “Un borghese piccolo piccolo” di Monicelli. Perché con le storie di un figlio ucciso (Sordi) e di un altro rapito (Tognazzi), due mostri sacri della commedia all’italiana avevano saputo incarnare personaggi drammatici a loro estranei, dando prova di una grande duttilità espressiva. Ma mentre il film di Monicelli, tratto da un romanzo di Vicenzo Cerami (e sceneggiato da Sergio Amidei e dallo stesso regista), assumeva nel suo svolgersi la grandiosità di una tragedia greca, quella che invece Bertolucci -che oltre alla regia ha curato in solitaria anche soggetto e sceneggiatura- ha intitolato “tragedia” appare una vicenda poco credibile che procede a strappi, asservita a un’ideologia figlia del tempo, con snodi narrativi oscuri e personaggi che si muovono seguendo percorsi spesso misteriosi. Un film imperfetto e invecchiato male dove il rapporto tra padre e figlio, tra famiglia e azienda, sono stati depotenziati da una scelta narrativa che avrebbe voluto essere poetica, forse onirica, ma priva delle fondamenta drammaturgiche che avrebbero potuto sostenerla.
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