L’agnello (2019). Regia: Mario Piredda. Interpreti principali: Nora Stassi, Luciano Curreli, Piero Marcialis, Michele Atzori
La nascita di un agnello scandisce il ritmo ancestrale di una Sardegna contadina, ostile, dolente. La madre che l’ha partorito muore e Tonino, il pastore, è convinto che anche il neonato non ce la farà. Anita, sua nipote, lo prende con sé e lo porta a casa per provare a svezzarlo.

Anita non ha ancora 18 anni e ha già perso la madre. Jacopo, il padre, è affetto da leucemia e in attesa di trapianto, ma né lei né il nonno sono compatibili. Rimane lo zio Gaetano, fratello di Jacopo, ma i due non si parlano da anni a causa di un dissidio mai risolto.
Ambientato tra il supramonte dell’Ogliastra, dove i passi lenti della natura accompagnano le stagioni, e ambulatori ospedalieri fatiscenti in cui i malati trascinano un dolore cui hanno messo la sordina, il film racconta una vicenda fatta di silenzi ostili, riconciliazioni impossibili, e relazioni profonde che non hanno bisogno di esibire parole per raccontarsi. La rabbia di Anita esplode in mille rivoli frustrati e scelte azzardate, senza un amore che la accompagni se non quello per un padre che giorno dopo giorno le sta scivolando via. L’esercito italiano è un fondale che riveste la vicenda e appesta la zona di sostanze che probabilmente hanno ucciso la madre di Anita e ora stanno avvelenando il padre. In uno stallo vischioso di parole non dette, i tre maschi fanno risuonare la propria rabbia per ciò che è stato. Uno non si è sentito amato né aiutato nel momento del bisogno, l’altro non è stato capace di perdonare le sue fragilità, e il padre è stato troppo avaro di gesti per riuscire a riunirli. Così è Anita, con la sua testardaggine di ragazzina, capelli lunghi di un rosso troppo carico e due brillantini sugli zigomi, che prova a modo suo a chiedere aiuto: ribellandosi alle forze dell’esercito, al lavoro da inserviente, e mettendo tutta la sua energia nel suonare la batteria.

Le resta un padre che vede sfumare al di là di un ponte, e lo sogna di nuovo bambina, quando sullo stesso fiume ora ridotto a un rigagnolo tossico poteva pescare grandi pesci da regalarle. Jacopo cerca un amore, l’ultimo prima di andarsene, qualcuno che lo accompagni lungo una strada che non conosce. Gaetano ne cerca altri, che si facciano strada tra alcol e delusione per una vita passata raccogliendo rottami lungo la strada. Sarà una danza, la stessa notte, a unirli senza che lo sappiano, dopo che si sono riavvicinati grazie ad Anita e l’ultima possibilità di salvarsi può essere tentata.
Mario Piredda racconta una vicenda troppo grande per una ragazzina, la sua lotta contro i mali del suo mondo – la morte di una madre, il potere dell’esercito, l’indifferenza di uno zio che conosce appena – in un’età che dovrebbe riservare solo i travagli dell’adolescenza. Il rapporto con il padre, che si ostina a chiamare per nome, è quello tra due adulti cresciuti in mezzo a privazioni e sconfitte, e che si rifugiano l’uno nell’amore dell’altra: tra tutti gli amori che si possono perdere a quell’età, l’unico non sostituibile.
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