L’Agnese va a morire (Italia, 1976). Regia: Giuliano Montaldo. Interpreti principali: Ingrid Thulin, Stefano Satta Flores, Michele Placido, Aurore Clément, Ninetto Davoli, William Berger, Flavio Bucci, Rosalino Cellamare, Gino Santercole, Eleonora Giorgi, Johnny Dorelli, Massimo Girotti.
Perso in tanti traslochi, L’Agnese va a morire di Renata Viganò è tornato da qualche anno alla superficie di una libreria insieme a Marcovaldo, Un anno sull’altipiano, Il taglio del bosco, Il diario di Anna Frank, Il sergente nella neve, La tregua: tutti quei libri, brevi per la maggior parte, che Einaudi aveva pubblicato nella sua collana per le scuole medie, e molte di queste avevano adottato come letture estive per i propri studenti. Un mondo fatto di carta e pagine da girare una dopo l’altra, che raccontava un passato che la pedagogia riteneva fosse importante da tramandare alle nuove generazioni. Non un passato agiografico, da celebrare come un’epoca d’oro cui fare ritorno, refrain che la politica più scaltra e sensazionalista inventa per disconnettere il popolo dai problemi reali. Ma un passato autentico, sudato, fatto di neve sporca e fango negli stivali – quando gli stivali c’erano.
Agnese non ha nulla dell’eroina: è una donna che ha passato da tempo la mezza età, senza figli, e con un marito con una malattia invalidante che la costringe a lavorare per due. Quando Palita, che simpatizza per la Resistenza e viene sospettato di collaborare con i partigiani, viene deportato in Germania, Agnese si ritrova sola nella sua casa di Comacchio. Raggiunta dalla notizia della morte del marito, inizia ad aiutare i suoi compagni di lotta portando loro vestiti, cibo e informazioni, indirizzando così le sue giornate di lavoro a una causa che fino a qual momento le era estranea.

Divenuta staffetta partigiana, con la fedele compagnia della sua bici, ancora oggi un prolungamento del corpo delle donne della bassa ferrarese, viene chiamata “mamma Agnese” da quei ragazzi che sono entrati in clandestinità per combattere l’esercito occupante e che potrebbero essere suoi figli. Quando un soldato tedesco uccide la sua gatta, unica compagnia rimastale in casa, Agnese gli rompe la testa con il calcio di un mitra, lascia la sua casa ed entra in clandestinità.
Tra i pochissimi film che riportano nel titolo la descrizione dell’epilogo, L’Agnese va a morire racconta la storia di un’eroina che il caso trasforma da donna insignificante in punto di riferimento per la Resistenza nelle Valli di Comacchio.

Ingrid Thulin, attrice bergmaniana per eccellenza, venne scelta dal regista per dare alla pellicola un respiro internazionale: ma aveva mani e corpo da contadina svedese, e si rivelò perfetta per il ruolo, anche se non entrò mai in particolare confidenza con la troupe e i compagni di set. Renata Viganò raccontò ciò che conosceva da vicino: per indole avrebbe voluto scrivere poesie, ma le necessità della famiglia le imposero di interrompere gli studi e lavorare in ospedale. Poi l’incontro con il marito la avvicinò alle idee socialiste, e dopo l’otto settembre iniziò a collaborare con la Resistenza a Bologna. Quella che oggi viene rammentata dai palchi di piazza il 25 aprile di ogni anno, con platee sempre più anziane e sparute e giovani pressoché assenti, è stata una storia frammentata e faticosa, fatta di eroismi ma anche di tradimenti, di persone disposte a farsi uccidere pur di non parlare e di famiglie colluse con l’occupante nel tentativo di evitare problemi maggiori o acquisire piccoli vantaggi quotidiani. Era impossibile non schierarsi, ma lo stesso qualcuno ci provava, nella speranza di costruire una negoziazione che non facesse male a nessuno. Ciò che rimane, oggi, dalle pagine del libro e dai fotogrammi del film, è una storia semplice, una cronaca di paura quotidiana, freddo, scatti d’ira, fame, ma tutto sostenuto da un progetto più grande, di quelli per i quali la perdita di un’unità è un sacrificio accettabile a fronte di una meta collettiva da conquistare.
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