Perché l’amore è sinonimo di malattia nel film tratto dal romanzo di Marquez? In che modo viene espressa questa similitudine e cosa può dirci dell’amore al giorno d’oggi?

L’amore ai tempi del colera segue la traccia del romanzo omonimo di Marquez, ambientato tra l’Otto e il Novecento a Cartagena de Indias, in Colombia. La vicenda ruota intorno all’amore di Florentino Ariza, giovane telegrafista, per Fermina Daza, figlia di un venditore di muli appena arrivato in città. Il sentimento sembra essere corrisposto e il sogno destinato a coronarsi in matrimonio, fino a quando il padre di Fermina, scoperta la loro relazione, decide di portarla via per alcuni anni, nascondendola in un villaggio nella giungla caraibica, dove i due giovani possono tenersi in contatto solo attraverso il telegrafo. 

L’amore di Florentino è fin dall’inizio “malato”. Il sentimento viene prima scambiato per colera, quando l’innamoramento lo prende così intensamente da far scambiare le sue reazioni (vomito, sudori freddi) per i sintomi del morbo che infesta Cartagena. Negli anni di separazione da Fermina, Florentino viene preso per matto quando decide di restare fedele al suo amore, rifiutandosi anche di perdere la verginità quando il suo capo, Lotario, lo porta al bordello della città convinto che la “follia” d’amore di Florentino sia da attribuire unicamente a un’assenza di esperienza con le donne. Il dialogo che si svolge in questa scena è significativo dell’opinione del mondo circostante riguardo l’amore del giovane protagonista, quando all’affermazione di quest’ultimo di volersi mantenere puro per Fermina, Lotario risponde: «Mi sembra una pessima idea». A guadagnare a Florentino la fama di strambo, è la sua abitudine di scrutare ogni giorno l’orizzonte dal faro del porto, nell’attesa del ritorno di Fermina. 

Al suo ritorno, Fermina sembra invece essere “guarita”: convinta delle ragioni del padre che la vuole sposata a un uomo ricco, rompe la relazione con Florentino chiamando il loro amore «solo un’illusione». La “guarigione” è in qualche modo preannunciata dai discorsi che intrattiene con la cugina Hildebranda durante il soggiorno nel villaggio natio del padre. In uno di questi la cugina, ossessionata da un amore non ricambiato, le suggerisce di imparare a essere felice “senza amore”.





Il rapporto tra amore e patologia viene ulteriormente affermato quando, di ritorno a Cartagena, a sposare Fermina sarà proprio un  medico, il dottor Juvenal Urbino, che oltre a liberare Cartagena dal colera, libererà metaforicamente anche la sua futura sposa dall’amore-malattia per Florentino.

Per cercare di guarire anche lui, la madre e lo zio del protagonista lo imbarcano verso un villaggio sperduto, dove non possa arrivare neppure il telegrafo che lo aveva tenuto legato a Fermina durante la prima separazione. Ma sul battello accade qualcosa: Florentino ha la sua prima esperienza sessuale e trova in quel momento da un lato un palliativo al dolore dell’amore impossibile, dall’altro la rottura del suo giuramento d’amore eterno per cui dovrà espiare aspettando fino alla morte del dottor Urbino per potersi dichiarare ancora a Fermina. Tornato a Cartagena, Florentino intraprende avventure con un’impressionante numero di donne, di cui tiene il resoconto in un piccolo quaderno. 

Ma non si deve immaginare Florentino come un grafomane: di fatto questi scritti sono solo per i propri occhi, non dovranno mai essere letti da nessuno; non tanto per paura del giudizio della società – che di fatto più avanti lo sospetterà di pedofilia per la sua apparente assenza di relazioni con donne – ma perché Fermina non debba mai avere a dubitare della sua totale devozione. 

A essere imposto dal mondo è invece il silenzio ancora più grande che circonda la perseveranza del suo sentimento verso l’amata. Ed è di questo silenzio che Florentino soffre, arrivando a cercare vie di sublimazione ancora attraverso la scrittura: in lettere d’amore scritte per gli analfabeti della città e finanche in quelle commerciali dirette ai clienti della società di navigazione dello zio, per cui ha iniziato a lavorare unicamente allo scopo di diventare abbastanza importante in società da poter sposare un giorno Fermina. 

Il suo è un “discorso amoroso” come quello descritto da Roland Barthes nell’incipit del suo omonimo libro: luogo «d’una estrema solitudine» emarginato da tutti gli altri discorsi. Tutte le azioni e le parole di Florentino sono in effetti motivate unicamente all’amore. Null’altro sembra toccarlo, né la guerra civile, né i progressi della civiltà, e neppure il colera. Solo l’amore è il tarlo che lo rode internamente, e Florentino combatte una battaglia angosciosa per tenerlo a bada, lasciandosi andare ai suoi “sintomi” solo in alcune occasioni.  Vale la pena farne notare un paio che lasciano emergere ancor più il tema dell’amore-malattia:

Quando la madre affetta da Alzheimer lo scambierà per suo padre, che l’aveva abbandonata alla nascita di Florentino, e gli dirà «l’unico guaio che tu abbia mai avuto è stato il colera», Florentino risponderà «No, mamma, tu confondi il colera con l’amore». Lo zio noterà spesso una somiglianza tra la febbre amorosa che affligge Florentino e quella del suo defunto fratello, padre del protagonista. L’amore viene dunque descritto come una sorta di tara ereditaria, una malattia geneticamente trasmessa.

L’immensa serietà nei confronti di un sentimento impossibile vale a Florentino l’emarginazione dai rapporti di società. Sentendosi colpito da un male abietto, si mette in una quarantena esistenziale. Il resto del mondo sa della sua esistenza – sta infatti muovendo rapidi passi verso la vetta della società di navigazione – ma viene descritto in molti dialoghi come trascurabile, impossibile da descrivere e ricordare.

Florentino accetta questa situazione e si mantiene nell’ombra per mezzo secolo, fino a quando il giorno della morte del dottor Urbino arriva e può finalmente recarsi da Fermina per dichiararle di averla amata per quei lunghi «cinquantuno anni, nove mesi e quattro giorni» contati uno dopo l’altro.

Fermina sembra ancora del tutto calata in quella società che ha ostacolato e di fatto distrutto il loro amore, ed è inorridita dal sentimento di Florentino, rifiutandolo e scacciandolo, almeno inizialmente. Il protagonista sembra però prendere questa reazione come una naturale fase del loro riavvicinamento e torna a scriverle lettere come in passato, come se il tempo non fosse mai trascorso. Le parole dell’antico innamorato hanno un influsso magico su Fermina, trasportandola indietro negli anni allo «stato di grazia» amoroso della loro gioventù, e riportando alla luce il suo naturale sentimento per Florentino. Fermina, ormai settantenne e amareggiata dalla vita con il marito che più si allontana nel ricordo e più le sembra essere stata infelice, si sente rifiorire davanti al primo amore ritrovato e rifiuta di farsi imporre da sua figlia una nuova separazione motivata dal decoro della vedovanza. 

Nel finale, Florentino e Fermina partono finalmente per il viaggio di nozze che avrebbero dovuto compiere molti anni prima, sul più bello dei battelli della società fluviale di cui Florentino è nel frattempo diventato presidente. Giunti all’ultimo porto, per non dover più tornare indietro, Florentino fa issare la bandiera gialla e nera che segnala un caso di colera a bordo, finalmente libero di dichiarare la propria “malattia” al mondo intero.