Renè Girard e il desiderio mimetico: riflessioni sul film
Renè Girard, filosofo ed antropologo francese del 900, evidenziava come il desiderio invidioso sia, per sua natura, “mimetico”: noi vogliamo imitare gli altri non per l’altro in sé, ma perché possiedono un oggetto che gli procura felicità. Una volta però instaurato il processo di identificazione con l’Altro questo si duplica parallelamente in uno di rivalità: tu sei il mio modello ma anche il mio rivale, perché la Tua esistenza impedisce la realizzazione del mio desiderio.
L’opera di Dominik, precisiamolo subito, è tematicamente atemporale.
La leggenda di Jesse James è solo l’occasione di destrutturare su due personaggi una visione introspettiva particolare, eccentrica rispetto al mito del bandito americano che ha scorrazzato nello Stato del Missouri nella metà del ‘800.
Il film vuole far emergere ben altro: il tentativo (riuscitissimo) di raffigurare la relazione inconscia tra il desiderio ammirevole di un ragazzo nei confronti del suo Eroe-Mito il quale, interiormente, trascorre gli ultimi giorni della sua esistenza.
A questo binomio di entità trascendentali, soggettivamente universali, possiamo aggiungerne altre due, che tuttavia assorbono le prime: una natura stupenda, che con le sue stagioni trapassa le vicende di Jesse e Robert e una società, sempre uguale a se stessa, che trova nella particolare modalità di uccisione del Mito un motivo di autoalimentazione della fama di quest’ultimo quasi da trasformarlo da criminale in eroe: anche se uno è un bandito non si ammazza alle spalle, ergo, il Mito, per la sensibilità sociale, può essere anche un criminale.
Robert Ford (un ispiratissimo Casey Affleck) possiede nella maschera di quel viso sdolcinato, sorridente, timido, una personalità fortemente condizionata dal Mito di suo cugino, Jesse James (un portentoso Brad Pitt). Che è anche il suo Eroe. Ma se l’Eroe ha una caratterizzazione fisica, tangibile, il Mito che aleggia su di Lui sublima la crescita di Robert e ne rappresenta l’oggetto invidiato.
Il Mito è il protagonista dei fumetti che da ragazzino Robert leggeva avidamente, raffigura il fantasma dei discorsi che su di Lui si facevano in famiglia, è l’uomo che con moglie e figli riesce sempre a scomparire facendo perdere le sue tracce passando di città in città. Pertanto Robert stringe dentro di se il sogno agonizzante di volerlo imitare, ed entrando nella sua banda cerca di far di tutto per manifestargli l’ammirazione nei suoi riguardi.
Ma la passione per il Mito è condensata in Robert da un fortissimo narcisismo. Non solo desidera un oggetto che vorrebbe, ma ritiene anche di essere in grado di poterlo acquisire: pensa che dietro quella sua aria tenue, fanciullesca, la maschera per cui è conosciuto dai familiari, si celi un “vero” uomo.
Lo dimostra, uccide un altro componente della banda, e si accorda con le autorità per catturare Jesse. Quest’ultimo si accorge della venerazione del ragazzo, il suo carattere spigoloso e diffidente tende sempre ad allontanarlo, ma contemporaneamente Jesse sente sopra di sé il peso di una fama che non intende conservare.
E solo Lui, lasciando il cinturone con le pistole sul divano, mettendosi di spalle per fingere di pulire un quadr, potrà consentire la sua stessa fine: Robert gli sparerà alla schiena come solo un codardo potrebbe fare.
Robert sapeva che non avrebbe mai potuto uccidere frontalmente Jesse, non ne era all’altezza, e quindi non poteva imitarlo nel suo godimento.
Nel suo egocentrismo era convinto che abbattendo con la morte di Jesse il suo mostro paranoico avrebbe potuto Lui acquisire quella fama che lo avrebbe reso famoso, lo avrebbe reso felice.
Non era importante il modo, ma raggiungere l’obiettivo.
Ma non si era reso conto che il Mito, nell’inconscio collettivo, non nasce solo dall’Essere, ma anche dalle vicende dell’Essere. Dalla sua storia. In questo caso dall’intrepido coraggio che Jesse aveva dimostrato nel compiere indisturbato le sue nefandezze. Per questo l’uccisione di Robert da parte di sconosciuti passerà come inosservata rispetto alla morte di Jesse, ampiamente divinizzata.
“L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” è un ottimo film. In più di due ore e mezza, nel freddo ma lucido evolversi degli eventi, riesce a compenetrare nello spettatore un rapporto unico, stupendo, tra un’ambizione cieca ed il lento avvicinamento della morte.
Senza farli incontrare, mai.
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