INTROSPEZIONE E DINAMICHE DEL DESIDERIO
Dino Giuffrè.
Solo al pronunciamento di questo nome, da parte del fratello, Titta Di Girolamo perde, per poi riacquistarla immediatamente, quella imperturbabilità sembiantica, laconica indifferenza su tutto ciò che lo circonda, e che rappresenta l’elemento costante dell’intera opera di Paolo Sorrentino.
Ma Dino Giuffrè è solo un amico d’infanzia di Titta. Non avrà alcun ruolo nell’intero film, tranne una semplice comparsa alla fine. Per Titta, invece, Dino è qualcosa di più. Una traccia, sedimentata nell’inconscio di quest’ultimo, che è fondamentale per comprendere la vera natura di quest’uomo. Solo un’altra volta, Titta Di Girolamo muterà il suo sguardo, accennando questa volta ad un sorriso. Non lo farà più per l’intero film. Quando, dopo tantissimi anni, verrà desiderato da una donna.
Perché “Le conseguenze dell’Amore” è proprio questo: un film sui desideri e sulle sue deviazioni. Anche quelle involontarie.
Titta di Girolamo è un perdente. Commercialista, separato da anni, ignorato dai figli, legato, ma non integrato, alla mafia siciliana, in due ore, in borsa, fece perdere a Cosa Nostra 220 miliardi su 250 investiti. Non lo ammazzarono, ma gli comminarono una pena più terribile: confino per 15 anni in un alberghetto di Lugano con l’unico compito di depositare in banca il denaro sporco che arrivava dalla Sicilia. Un’umiliazione eterna. Una punizione fortissima, che Titta subisce ne peggiore dei modi.
Chiusura totale al mondo esterno. Non ha, e non vuole avere, rapporti con nessuno. Non si accorge neanche di Sofia, la barista, bellissima. Almeno fino a quando Lei, davanti al fratello che lo era venuto a trovare, gli fa una scenata, chiedendogli perché viene sistematicamente ignorata. Titta scappa ma un leggerissimo sorriso palesa quello che sognava fino adesso e che aveva orami dimenticato: essere riconosciuto come uomo.
Quel sorriso apre uno squarcio sulla sua esistenza. Spingendosi avanti, consapevole dei rischi che questo mutamento gli avrebbe provocato. Anche troppo avanti, fino al regalargli una costosissima autovettura, non potendo neanche immaginare che proprio con quella bmw la neopatentata Sofia avrebbe trovato la morte in un pomeriggio del giorno del compleanno di Titta. Lui la aspettava, nella solita hall dell’albergo, ignaro di quello che era successo, fino a quando, ripiombato nel suo grigiore, sentendosi di nuovo abbandonato, decide di farla finita.
Ma in maniera eclatante, sorprendente.Prende l’aereo, va fino a Palermo per dire in faccia ai boss che una valigia di 10 milioni di euro, che aveva recuperato da due affiliati traditori, non la vuole restituire. Sa che quel viaggio con quell’obiettivo è la sua condanna a morte.
“Le conseguenze dell’amore” è un film totalmente introspettivo. E’ la coscienza di Titta che parla fino a quando sarà visibile l’ultima bollicina di aria nel blocco di cemento dove è stato calato da una gru. In pieno stile mafioso.
E’ una coscienza che per 100 minuti illustra con gli occhi del suo protagonista la solitudine di un uomo che trovava nella maniacale ripetizione delle sue giornate il senso di una vita completamente inutile. E che solo due desideri lo hanno destato.
Uno, quello di Sofia, gli avrebbe effettivamente cambiato il suo destino. Era un desiderio pieno, essere desiderati. Cerca di modificare il rettilineo della sua esistenza vedendo il viale della gioia, non sapendo che invece sarebbe rimasto fermo. Al bivio. Preferendo a questo punto buttarsi dal dirupio.
Ma il secondo desiderio è più interessante. Perché è completamente trascendentale, etereo. Non si fonda su un incrocio di sguardi, o sulla speranza che qualcuno gli parli. Sull’attesa. No, si fonda sul ricordo e la memoria che arrivano a materializzare la presenza fisica di un uomo, Dino Giuffrè, di cui era amico da ragazzo e che da più di 30 anni non vedeva.
Sofia è presente in tutto il film, Dino è completamente assente.
E questo spiega anche l’ordine degli ultimi due pensieri di Titta De Girolamo. Quelli che si fanno quando un uomo sa, è cosciente, che sta morendo.Prima il pensiero di Lei, la donna che lo desiderava, e poi, l’ultimo sprazzo reminiscente, va ad un desiderio.
Attenzione. Non ad un ricordo, ma ad un desiderio che si concretizza in una immagine. Che Dino Giuffrè, appeso per lavoro ad un traliccio elettrico, su una montagna ricoperta di neve, stia pensando al suo amico Titta, con lo sguardo volto nel nulla.
Due desideri diversi, il primo morente, il secondo sognante, ambedue contestuali, che si incrociano nel vuoto assoluto, fisico e mentale, di una triste esistenza.
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