“Il sogno è il tentato appagamento di un desiderio” (Sigmund Freud)

LE NOTTI BIANCHE (1957) di LUCHINO VISCONTI

L’inconscio: il sogno ed il desiderio.

Mario e Natalia. Un abbraccio. Dolci, candide, bianche lacrime che si fondono su due visi singhiozzanti, che si sfiorano, come la neve, a terra, in una fantasmatica Livorno.

In quel brevissimo attimo che conclude lo struggente melodramma di Visconti, finisce anche l’incontro di due desideri completamente distinti. E soprattutto distanti. E con loro termina anche il sogno che “Le notti bianche” di Luchino Visconti ha offerto al mondo intero.

Perché quest’opera ha la struttura del sogno. Dove il buio notturno che avvolge i ponticelli, i negozi, le luminarie, le persone che camminano e parlano, gli innamorati, il vento, il freddo, gli indigenti che dormono per terra, le rovine, è la metaforizzazione di un viaggio onirico che il Maestro milanese ci fa vedere con trascendentali e visionari campi lunghi: singoli scorci, soprattutto con elementi antitetici fra di loro, propriamente come i nostri sogni.

Ma l’eccellenza registica è stata soprattutto di farci comprendere il “contenuto latente” freudiano di questo sogno, aspetto che difficilmente ci ricordiamo nei nostri percorsi onirici: cioè il suo “pensiero”, quello che sta dietro alla rappresentazione onirica. Nel film, il concatenarsi dei due desideri.

Ecco perché il nostro inconscio è formato da ciò che desideriamo. Ed in quanto tale, non si identifica solo nel rimosso, nel nostro archivio mentale, ma si sviluppa anche sulla base dell’esistente, e pertanto può modularsi con gli avvenimenti futuri. E in quale forma più delle altre, come i lapsus, i motti di spirito, le dimenticanze, si manifesta il nostro inconscio? Con il sogno, la cui difficoltà sta chiaramente nella sua decifrazione, o almeno nel trovare la chiave di decodificazione.

Il desiderio di Natalia si chiama attesa. Che a sua volta è legata ad una speranza. Se lo straniero al quale era legato sentimentalmente ritornerà dopo un anno da loro addio vivranno per sempre insieme. Quell’uomo affascinante, colto, che mesi addietro gli è apparsa come possibilità di fuga dal modesto ambiente in cui con la nonna e la zia vivevano in un piccolo appartamento. Un amore puro, ricambiato, il cui desiderio era “riconosciuto” da entrambi, ma che ad un certo punto si spezza, insieme ad una promessa ed una richiesta: aspettami sul ponte in cui ci siamo lasciati perché quando tornerò sarà per sempre.

Quindi l’attesa unita ad una speranza. Emozioni che Natalia decide di replicare tutte le sere prima di arrivare a quel fatidico giorno. Perché? Perché non c’è differenza tra attesa e desiderio. Perché l’attesa è desiderio, e Natalia lo vuole vivere sempre, anticipando con la sua presenza fisica quell’attimo che gli cambierà la vita pur non essendo certa che questo accadrà. Perché Natalia è fatta così.

Le sembianze del suo visetto che in vortici improvvisi diventano dolci, allegre, tristi, struggenti, sono lontani da quei volti imborghesiti di una società italiana oramai sull’argine storico della sua trasformazione. Lei no, Lei vive senza cesure, infaticabilmente, dentro il suo sogno, diventando Lei stessa parte di una visione viscontiniana scenicamente più ampia. Un sogno nel sogno.

Che neanche l’amore improvviso di Mario, un bellissimo Marcello Mastroianni, che incontra Natalia all’inizio del film può mutare. Mario è indubbiamente figlio del suo tempo, ma è ancora intimamente colmo di quel romanticismo, di quel desiderio, di quell’attesa che lo stesso suo tempo sta abbandonano verso forme più immediate di passione. Mario ha compreso la storia di Natalia, gli dice di non fidarsi, gli chiede come sia possibile che possa amare “un fantasma”, che possa credere a qualcosa di non-credibile, che si deve svegliare, perché anche la vita reale può essere bella.

Ma questo esteriormente, perché Mario non solo desidera Natalia, ma ama il sogno di Natalia. Ama il suo desiderio, lo invidia, lo affascina, vorrebbe essere desiderato come Lei desidera l’arrivo del suo amato.

E questo lo sconvolge, lo fa precipitare nel sogno che è proprio d Natalia.

E quando il tempo è scaduto, e Natalia, come una piccola Cenerentola corre via da Mario all’orario prefissato un anno prima per vedere se è arrivato sul ponticello dove si erano dati appuntamento e non lo vede, Mario è la persona più felice del mondo. Pur comprendendo che ci vorrà molto tempo prima che si innamori di Lui, scorge tuttavia una speranza di un amore fino a quel momento solo nominato.

Durerà solo qualche minuto questa felicità, fino a quando Mario vedrà lo straniero che aspetta Natalia. E sa bene che non c’è più speranza.

Mario, negli ultimi fotogrammi, ritornerà a passeggiare con un cane, quello incontrato all’inizio del film. Esattamente come Umberto D di De sica. Perché nei tristi racconti della nostra esistenza qualcuno ci deve essere sempre vicino.