Le soldatesse (Italia, Francia, Jugoslavia, Germania, 1965). Regia: Valerio Zurlini. Interpreti principali: Tomas Milian, Mario Adorf, Anna Karina, Marie Laforêt, Valeria Moriconi, Aca Gavric, Lea Massari, Milena Dravić, Guido Alberti, Duje Vujisic, Joca Rancic.

Te ne eri andata senza voltarti, eppure mi parve di rivedere il tuo viso,
anni dopo, negli ultimi versi di una poesia:
“Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti – per entrar nel buio”.

“Spezzeremo le reni alla Grecia”, pronunciò dal balcone del suo palazzo il capo del governo il 18 ottobre 1940. Al termine di un inverno di guerra, e solo con l’aiuto delle milizie dell’alleato germanico, la resistenza greca fu vinta. Questa guerra inutile, tra uomini gentili e di antica civiltà, ci era costata 23.755 morti.  

Così si apre il film, identificando quel segmento di storia, oggi poco conosciuto e pochissimo rammentato, in cui il nostro Paese, perso nella frenesia colonialista e nella speranza di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, dichiarò guerra a un Paese fratello appena al di là del mare. Si apre con didascalie che introducono lo spettatore in una vicenda priva di senso, in cui un Paese ne aggredisce un altro senza un vero motivo, e con parole che suscitano spaesamento, senso di spreco, solitudine.

Solo e spaesato è anche il tenente di fanteria Gaetano Martino, finito in una guerra che non comprende e che sente come profondamente estranea. Di stanza ad Ocrida, si troverà a guidare una strana missione: accompagnare un gruppo di dodici ragazze che, per fame, hanno accettato di prostituirsi nei vari distaccamenti militari risalendo la Grecia fino all’Albania. Pagate in anticipo a scatolette di cibo, le donne salgono su un camion guidato dal sergente Castagnoli. Quasi subito al gruppo si unirà il maggiore Alessi, una camicia nera convinta delle ragioni della guerra e del proprio machismo indomito. Durante il viaggio i personaggi si avvicineranno e allontaneranno l’un l’altro, come calamite che si respingono, sullo sfondo di posti di blocco, attacchi di partigiani e sparatorie. Martino finirà per innamorarsi di Eftichia, offrendo a lei e alle altre ragazze la dignità e il rispetto che ogni altro appartenente all’esercito nega loro: è solo carne da bordello destinata ad altra carne da macello.

Non importa che ciascuna abbia dentro di sé una storia, una Patria invasa, un parente ucciso, un altro tra i partigiani. Il mito costruito nel tempo degli “italiani brava gente” vacilla nelle rappresaglie senza quartiere, in villaggi rasi al suolo dove i partigiani vengono giustiziati senza processo. Eftichia prova rabbia per tutto questo, ma a sua volta si innamora del tenente. E’ il breve tempo di una notte in cui scambiarsi non promesse – sanno che non potranno mai rispettarle – ma frammenti di desiderio: che tutto finisca al più presto. Ma chi renderà loro le vite di chi non ce l’ha fatta? E chi la speranza di vivere un amore nel pieno fiore della giovinezza? Eftichia non perdona, e sa che dopo questa unica notte insieme dovrà andare tra i propri fratelli, cercando di fare la sua parte. “Quando tutto questo sarà finito”, dice, “chi ci renderà questi anni?”

La cifra narrativa di Zurlini è la malinconia e il modo di esprimerla passa attraverso l’espressione artistica, unico mezzo che l’uomo possiede per elevare il proprio spirito al di sopra delle miserie di relazioni obbligate. La ritroviamo sparsa quasi in modo sommesso lungo il film nei riferimenti classici, nella poesia, in squarci di umanità che si intravedono quando un personaggio inizia a porsi domande dissonanti rispetto al rombo dei cannoni. Il tenente Martino è un giovane che vede in questo gruppo di donne non la fierezza di un nemico vinto, non la tragicità di una condizione femminile affossata dall’eterno patriarcato, ma i desideri di altri esseri umani. Che vorrebbero essere accolti, curati, ascoltati; forse solamente essere visti, al di sopra del rumore indistinto di mezzi cingolati che attraversano una guerra senza senso. In un soliloquio intriso di dolore, in un tempo senza tempo, nel mezzo di una bufera che non accenna a cessare, dedicherà all’amore di una notte le parole di un grande poeta.