“la giusta comprensione di una cosa e la incomprensione della stessa non si escludono” (Franz Kafka- Il Processo)
LE VOCI DI DENTRO (1948) di EDUARDO DE FILIPPO
Kafka ed Eduardo De Filippo: sospetto, senso di colpa e sogno.
Il periodo tratto dall’epocale opera di Franz Kafka non riguarda solo il sogno. Riguarda anche il sospetto ed il relativo senso di colpa, spesso connaturale alla nostra essenza umana, su ciò che la nostra società, e le sue dinamiche spesso perverse, ti costringono a credere esistente, anche quando questo non lo sia.
Alberto Saporito è sicuro che i vicini di casa, i componenti della benestante famiglia Cimmaruta, hanno ucciso un suo amico, Anielllo Amitrano; ed è altrettanto sicuro che loro hanno nascosto, dentro le mura di casa, dei documenti che proverebbero questo. E’ così certo che li fa arrestare dalla Polizia: ma, in casa dei Cimmaruta, rimasto da solo per cercare i documenti, si accorge, traumaticamente, di aver sognato il tutto.
Da lì, inizia l’incubo di Alberto. Da un lato ritira la denuncia, attirando tuttavia su di sé i sospetti della Polizia, che pensa che abbia voluto ritrattare i fatti (anche perché Aniello non si trova). Dall’altro, rischia una querela da parte della famiglia Cimmaruta. A ciò si aggiunge il tentativo, del fratello Carlo che vive con Lui, di convincerlo (con la scusa del presunto arresto) a vendere i pochissimi beni rimasti in casa.
A questo punto, con una mirabile progressione narrativa del commediografo napoletano, inizia la rappresentazione di una girandola di colloqui di ogni singolo componente della famiglia Cimmaruta con Alberto.
Ognuno di questi, con sorprendente amabilità e gentilezza, confida ad Alberto che ha ragione, che i propri parenti sono gli assassini di Aniello. Delle vere e proprie confessioni, intrise di odio, risentimento, rancore, che ogni singolo familiare, all’insaputa dell’altro, svela ad Alberto. Non solo. Ma tutti insieme (pur ognuno di essi, ribadiamo, ignaro della confessione dell’altro) si accordano nel voler uccidere Alberto, pensando così di eliminare ogni problema. Ma Aniello ritorna, ed Alberto, senza dire nulla, con la scusa di aver ritrovato i documenti che provano la sua morte, chiama la famiglia Cimmaruta al suo completo accusandoli (la scena più bella della commedia) che anche se non assassini materiali sono assassini morali.
Di chi? Di ognuno di loro nei confronti degli altri, nel momento che hanno sospettato che ciascuno di loro fosse l’assassino, oltre ad aver ideato di voler tutti insieme uccidere Alberto.
L’elemento Kafkiano del senso di colpa quale epilogo di dinamiche perverse, e spesso sconosciute allo stesso uomo è evidentissimo. Nessuno, infatti, ha il coraggio di replicare alle accuse di Alberto, ammettendo, con lo sguardo basso di fronte al suo viso accusatorio, il loro peccato.
Ma qui Eduardo, con un sensibilità unica del suo tempo, attualizza la tematica kafkiana nel momento che individua la matrice di questo senso di colpa: non siamo di fronte ad un processo senza che il signor K sappia qual è l’accusa, come nel libro dello scrittore praghese, ma siamo di fronte a quella cointeressenza di piccoli invidie, gelosie, dispetti reciprochi, in poche parole, bassezze umane, che spesso le famiglie contengono al loro interno, e ancora più frequentemente nel rapporto con l’esterno (in questo caso la differente situazione economica).
L’altro elemento è il sogno, che qui chiaramente va inteso nel significato che Sigmund Freud aveva elaborato, alla fine dell’800. Non quindi il sogno come premonizione, ma il sogno come soddisfazione di un desiderio.
Ed, assistiamo, ad un altro colpo di genio di Eduardo De Filippo.
Alberto non è scevro da quella indole sospettosa che accomuna tutti. Infatti sogna che Aniello è stato ucciso dai Cimmaruta. Perché? Perché questo è il messaggio del suo inconscio, che riemerge nel sogno: anche lui ritiene che i vicini possano uccidere qualcuno, anche lui sospetta degli altri. E lo dirà chiaramente.
Rimane un ultimo tassello in questa grandiosa opera di Eduardo De Filippo. Il rifiuto nei confronti di questa umanità egoista e cinica. Chi lo impersonifica? Zì Nicola, un anacoreta casalingo, uno zio di Alberto e Carlo (quest’ultimo intanto smascherato nella sua viltà) che vive in un soppalco all’interno della casa, anche se morirà prima della fine della commedia.
Zì Nicola da anni non parla. Comunica con petardi, una sorta di codice che solo Alberto riesce a decodificare. E’ questo il suo rifiuto nei confronti di questa umanità triste che gli passa davanti, che Lui non accetta, e con la quale rifiuta di dialogare.
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