Les miens (Francia, 2022). Regia: Roschdy Zem. Interpreti principali: Sami Bouajila, Roschdy Zem, Meriem Serbah, Maïwenn, Rachid Bouchareb, Abel Jafrei, Nina Zem, Carl Malapa, Anaïde Rozam, Lila Fernandez, Farida Ouchani
Nelle famiglie, soprattutto se numerose, è frequente che ciascuno si ritagli un ruolo: chi è dedito agli altri, chi pensa solo allo studio o alla carriera, chi fa da collante e chi si dimentica di cene e compleanni; l’intellettuale e quello che paga le bollette, il mistico e il complottista, chi rimanda sempre le scelte e chi le affronta ogni volta come una battaglia. Ruolo che finisce per definire l’identità, perché il resto della famiglia si rivolgerà a quella persona sapendo cosa può aspettarsi e chiedendo esattamente quello. Perché, spesso in famiglia se ne è convinti, “lui è fatto così”.
Les miens (I miei) racconta di un’identità perduta e un’altra ritrovata all’interno di una famiglia composta da quattro fratelli di origine marocchina. Moussa è la stella polare, quello disponibile a sacrificarsi per gli altri, il centro di gravità della famiglia. All’inizio della storia sta facendo pulizia di ciò che a casa è rimasto della sua ex moglie, scomparsa da tempo dalla sua vita: dopo l’ennesima giornata di troppo lavoro ha un mancamento e batte la testa. Dapprima oppresso da una sonnolenza preoccupante, poi come liberato da ogni remora, inizierà a dire a tutti quello che pensa, figli compresi. La sua antica cortesia scompare, e i familiari si ritrovano spiazzati a fare i conti con un sistema che sta esplodendo; e lui stesso sembra perduto, insieme al lavoro dove non accetta un declassamento, con i figli che tornano dalla madre e i pranzi di famiglia che si trasformano in un tiro incrociato di rivendicazioni. Solo Ryad, il fratello di successo, presentatore televisivo dall’ego ipertrofico e sempre attento solo a se stesso, saprà prendersi cura di lui.

Commedia francese brillante e dal retrogusto amaro, Les miens mescola i caratteri dei personaggi lasciando fuori dalla storia ogni riferimento all’origine etnica o ai problemi di integrazione. I protagonisti sono francesi a tutti gli effetti, inseriti brillantemente nel sistema-Paese dove ciascuno svolge il proprio ruolo: o come percettore di sussidi pubblici, o all’interno del sistema di volontariato, o come workaholic o come personaggio immagine, ciascuno indossa i panni che la società, tra i tanti disponibili nell’armadio della scala sociale, gli ha predisposto.
Come spesso accade, e come scriveva Sorrentino, quando leggono la realtà attraverso le proprie lenti, i quattro fratelli hanno tutti ragione. Forse l’avevano anche prima, ma c’era qualcuno disposto a supplire alle carenze altrui, a tacere quando i toni rischiavano di tracimare dalla battuta all’invettiva, a stemperare le provocazioni e coprire le mancanze. Ora che l’equilibrio è saltato sarà il personaggio meno indicato, quello su cui tutti sapevano di non poter contare, a tirare le fila di un complicato recupero della normalità, attraverso una catarsi finale collettiva.

Schematico nel disegno dei caratteri ma brillante nei dialoghi, il film nella seconda parte vive di confronti serrati in cui emerge tutto il peso del non detto e del rimosso e viene fatta luce sulle singole esistenze dei protagonisti, prima nascoste con cura dalle dinamiche consuete giocate nei pranzi di famiglia. Un’occasione per guardare al di là delle apparenze, scoprendo che anche la verità è un guasto che a volte si può riparare.
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