LA TRILOGIA DELL’APPARTAMENTO DI ROMA POLANSKY – 3

“Uno dei nostri psicotici racconta in che mondo strano è entrato da qualche tempo. Tutto per lui è diventato segno. Non soltanto è spiato, osservato, si parla, si dice, si indica, lo si guarda, si ammicca…” 
Jacques Lacan – Seminario III

L’INQUILINO DEL TERZO PIANO (1976) di ROMAN POLANSKI

Che tenerezza fa Trelkowski quando a terra, nell’atrio del palazzo, truccato e vestito da donna, sanguinante, piangente, urla ai coinquilini : “Volevate una morte pulita vero???!!,….sarà una morte sporca, indimenticabile!!!”.

“Morte pulita…morte sporca…”, termini infantili, strazianti, di chi è fatalmente succube, per indole, della cattiveria e stupidità umana, e sentendosi continuamente osservato, spiato, controllato, decide di farla finita gettandosi da un balcone dal terzo piano di un palazzo: tutto oramai è segno, l’apoteosi della paranoia.

Ma cosa aveva visto per porre fine alla propria esistenza. E, prima ancora, chi è Trelkowski.

Impiegato polacco, naturalizzato francese ( ci tiene molto a questo particolare) è un uomo solo, molto solo. 
Di gentile aspetto, sempre cordiale, sul piano relazionale è fortemente remissivo, impacciato, insicuro di sé stesso: si adegua a quello che gli dicono, o, addirittura verbalmente, gli impongono gli altri. 
Diventa così un facile bersaglio delle ridicole fisime e ossessive pretese di moralità e di comportamento irreprensibile del rigido proprietario, della scontrosa portinaia e degli apatici inquilini di un palazzo dove Trelkowski aspira ad affittare un appartamento, rimasto temporaneamente vuoto a causa del ricovero di una ragazza, Simon Choule, che aveva tentato il suicidio gettandosi dalla finestra. 
Affittato l’appartamento e deceduta la ragazza, inizia un difficile rapporto con l’insieme di personaggi che circondano, quasi asfissiandola, quell’indipendenza ambita da Trelkowski.

Il connubio tra la vicenda di Simon ed il comportamento opprimente del proprio vicinato, spinge Trelkowski a credere che sta entrando in un tunnel. Anzi in uno specchio: lo specchio dell’anta di un armadio dove all’interno è rimasto un abito a fiori di Simon.

In realtà quello specchio è un non-specchio: solo apparentemente riflette l’immagine di Trelkowski . Ma in realtà quella figura sta, in quello stesso istante, “costituendo” la sua struttura psicologica. 
Con aria mesta, triste, si specchia in quell’uomo infelice che è stato fino adesso. Ma dall’altra parte viene osservato dalla sua non-immagine che gli restituisce quel futuro che Trelkoswki già iniziava a presagire. Gli manca solo la forma esterna di questo imminente mutamento: e questa sta proprio dentro quell’armadio, cioè….il vestito a fiori lasciato da Simon.

Polanski é geniale. Un segmento invisibile traccia il passato, il presente ed il futuro di un uomo: un intero percorso in un’ immagine riflessa.

Il processo è lento, ma progressivo. Passa a fumare le Marboro di Simon, a bere il suo cioccolato, a sedere al suo posto nel bar, e lentamente ad usare il suo smalto. Poi a truccarsi e vestirsi da donna, utilizzando l’abito a fiori. Ma soprattutto a sentire sempre più assillante, asfissiante, la cappa di controllo da parte dei suoi vicini, quel microcosmo di viltà e cinismo borghese chiuso in quel palazzo quale simbiosi del macrocosmo sociale.

La pressione di questo stritolamento, questa tela di ragno che avvolge Trelkowski, provocherà anche la sua reazione nel tentativo di voler superare questa situazione. 
Consapevole dello stato di paranoia che lo sta assalendo, anche grazie ai pochi conoscenti che gli fanno comprendere che i problemi da lui lamentati sono frutto dei suoi pensieri, comincia a prendere piano piano coscienza della necessitò di interrompere questo lento avvicinamento a Simon. 
Cerca inutilmente di farsi aiutare da Stella (bravissima Isabelle Adjani), una ragazza conosciuta al capezzale di Simon, ma è inutile. Lo stato allucinatorio, giunto fino a fargli vedere, tra gli altri, sè stesso nel bagno comune di fronte alla finestra dell’appartamento, quale prova concreta di quella identificazione psicologica avvenuta davanti allo specchio, oramai è totalizzante.

Siamo all’epilogo. Ma siamo anche di fronte ad un ulteriore colpo di genio di Polanski. In un onirico teatro all’aperto, nello spazio interno del palazzo, dove tutti sono pronti a godere del riprovevole e cinico spettacolo della morte di Trelkowski in diretta, lui non accetta passivamente la sua fine. 
Si getterà dalla finestra, cadrà nell’atrio, trascinandosi a terra urlerà chi sono i suoi veri carnefici, cercando così di sconfiggere, con il suo gesto, quel tradizionale cinismo borghese che non può sopportare scandalose manifestazioni non consone, non in linea con la presunta “normalità” sociale.

La differenza tra la “morte bella”, quella di Simon, e la sua, la “morte brutta”, cioè di uno stupido individuo truccato e vestito da donna, simboleggia la contrapposizione perenne tra il perbenismo visibile e la realtà da oscurare. Trelkowski, dopo il suo ultimo show, si alzerà, raggiungerà il terzo piano e si butterà di nuovo. Questa volta per sempre.

L’inquilino del terzo piano è un incredibile viaggio visionario. Il più tetro della cd. trilogia dell’appartamento. Se in Repulsione e Rosemary baby, rispettivamente, una nevrosi ossessiva, e l’inferno in terra rappresentato dalla borghesia newyorkese, erano i nuclei diegetici delle due opere, qui Polanski assorbe questi due elementi, incorporandoli all’interno del film, ma illustrando l’intero percorso umano e di come un comportamento fisiologicamente normale può tramutarsi in patologico. 
Ecco perché, secondo me, “L’inquilino del terzo piano” è assolutamente la più realistica, anche perchè attualissima, delle tre opere.