L’ordine del tempo (Italia, 2023). Regia: Liliana Cavani. Interpreti principali: Alessandro Gassman, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Ksenija Rappoport, Richard Sammel, Valentina Cervi, Fabrizio Rongione, Francesca Inaudi, Angela Molina

Liberamente ispirato all’omonimo saggio di Carlo Rovelli, che tratta con rigore scientifico e approccio divulgativo la natura del tempo e la non uniformità del suo scorrere, il film mette in scena la consueta riunione tra adulti di successo, che si trovano in una villa di Sabaudia per festeggiare il cinquantesimo compleanno della padrona di casa.

Il deus ex machina che scende dall’alto è un ipotetico asteroide che si avvicina a velocità altissima e potrebbe cadere a breve sulla Terra. Se i mass media poco ne parlano, probabilmente per non allarmare i mercati, ci pensa uno degli invitati, un docente universitario di fisica, ad illustrare ai presenti gli effetti devastanti che avrebbe un suo eventuale impatto con la superficie terrestre: l’ultima volta che accadde un fatto analogo si estinsero i dinosauri. Deus ex machina che nell’intento degli autori dovrebbe favorire una riflessione su cosa le persone ritengono davvero importante di fronte alla concreta possibilità di morire.

Spunto interessante, sviluppato però rimescolando con malagrazia amori adolescenziali dichiarati 35 anni più tardi (e davanti al proprio marito), omosessualità scoperte tardivamente, figli illegittimi, carriere sbagliate, tira e molla amorosi tra capitali e continenti inseguendo una relazione impossibile, coppie che scoppiano, altre che si sopportano, per finire degnamente con l’argomento dell’anno: il granchio blu. Personaggi che avrebbero avuto un’ottima occasione per alzare il sipario sulle proprie ipocrisie d mezza età, si limitano a fare il consueto compitino del volemose bbbene (sulle note di Leonard Cohen), per tacere di dialoghi didascalici (la mamma che spiega alla figlia le varie parole utilizzate dai Greci antichi per descrivere il tempo), passaggi pedanti (“se la Borsa continua a salire non ci sarà certo la fine del mondo”) e reiterazioni infinite di scene sempre uguali, con il fisico che viene invitato ad approfondire le sue teorie con i colleghi, perché potrebbe pur sempre sbagliare.

Personaggi centrati su se stessi per un film che non rende giustizia al percorso artistico della regista, la cui impronta riusciamo a intravedere solo nella scena del dialogo tra una scienziata e una monaca di clausura che fu sua insegnante all’Università. Nel breve tempo dedicato al confronto tra le due, nell’ampio spazio claustrale che accoglie chi ha deciso di lasciare il mondo e ritirarsi in preghiera, si prova ad accennare qualche risposta a domande rimaste, fondamentalmente, inespresse: che senso ha la vita? Qual è il valore che gli esseri umani sono in grado di darle? Quale può essere il fine ultimo del nostro cammino terreno?

Dal cinema italiano ci aspetteremmo uno scatto d’orgoglio, una storia originale, una produzione che sfida le convenzioni e prova a raccontare il mondo che cambia attraverso stili e idee dirompenti: ma poi ci ritroviamo sempre alle prese con personaggi gigioni, autocompiaciuti, falsamente contriti, emotivamente monodimensionali e costretti a recitare se stessi che recitano.

Più che un’occasione persa, la perfetta rappresentazione di un sistema chiuso in se stesso (stessi nomi, stesse facce, stessi gesti scenici, stessi dialoghi) che lascia poche speranze per il futuro prossimo del nostro cinema.