E non si è soli quando un altro ti ha lasciato
Si è soli se qualcuno non è mai venuto
Però scendendo perdo i pezzi sulle scale
E chi ci passa su non sa di farmi male(Roberto Vecchioni, L’ultimo spettacolo)
L’ultimo spettacolo (Titolo originale The Last Picture Show, USA, 1971). Regia: Peter Bogdanovich. Interpreti principali: Jeff Bridges, Ellen Burstyn, Cloris Leachman, Timothy Bottoms, Ben Johnson, Cybill Shepherd, Sam Bottoms, Eileen Brennan, Helena Humann, Noble Willingham, Bill Thurman, Joe Heathcock, Randy Quaid
In un piccolo paese del Texas spazzato dal vento gli abitanti trascorrono le loro giornate tra noia, piccole trasgressioni e voglia di fuggire. Sonny e Duane sono due amici di scuola alle prese con la scoperta del sesso: Duane è fidanzato con Jacy, la ragazza più bella del paese, che la madre Lois spinge a trovare un uomo ricco altrove. Sam è il proprietario del ristorante e della sala biliardo, oltre che della sala cinematografica sulla quale il film si apre e si chiude. Ruth, una quarantenne trascurata dal marito, diventerà l’amante di Sonny. Jacy, lasciato Duane, si muoverà confusa in un mondo maschile che inizia a conoscere, prima fiduciosa e poi manipolatrice.

Un anno di vita di una minuscola comunità all’inizio degli anni Cinquanta, tra la fine della seconda guerra mondiale e l’intervento americano in Corea, viene descritto con una grande profondità di campo: non solo per la magnifica fotografia in bianco e nero ma anche grazie ai dettagli della sceneggiatura, che al di là dei dialoghi lascia intravedere in controluce i desideri e le speranze di ciascun personaggio. Film corale, in cui le storie di uomini e donne scorrono sulle superfici levigate delle loro vite e si intersecano con quella più grande e lontana del loro Paese.
Bogdanovich, come Truffaut, si avvicina al cinema come cultore ancor prima che critico. Il cinema Royal, dove a inizio film si proietta “Il padre della sposa” di V. Minnelli, nell’ultima inquadratura apparirà senza più locandine all’esterno perché la sera prima, con “Il fiume rosso” di H. Hakws, si è tenuto l’ultimo spettacolo prima della sua chiusura definitiva. Sonny e Duane, riavvicinatisi dopo aver litigato a causa di Jacy, vanno a vederlo insieme. Il giorno dopo Duane partirà per la Corea.

Effetto notte di Truffaut sta a questa pellicola come una barca in navigazione sta alla sua vela: da una parte la descrizione del mondo del cinema durante la lavorazione di un film, dall’altra il cinema come sala di proiezione, una sineddoche capace di esprimere tutto un universo nel semplice dettaglio del fascio di luce del proiettore attraversato dal fumo delle sigarette degli spettatori. E’ un attimo, ma c’è un mondo.
E insieme una serie di riti di passaggio: la fine della giovinezza, con i due amici che partono per un weekend di follie nel Messico; le donne avvizzite in un matrimonio senza amore, che cercano altrove qualcosa che possa alleviare la loro solitudine. E il passaggio più grande di tutti, quello di Sam, che rappresenta un mondo che non c’è più, e lascia in eredità dietro di sé i suoi beni materiali ma anche tutto ciò che la vita gli ha insegnato. Passaggi raccontati con grazia, come la festa in piscina del rampollo di una famiglia ricca, dove Jacy è obbligata a fare il bagno nuda per essere accolta dagli altri ragazzi; o come la morte di Billy, un ragazzo ritardato cui volevano tutti bene, il cui corpo travolto da un camion viene raccolto con rabbia e amore dallo stesso amico che aveva sempre tentato di proteggerlo.
Finisce un mondo che tutti sembravano disprezzare ma che, visto vent’anni dopo, riluce di una purezza antica, evocata dalle canzoni country che accompagnano con un tappeto sonoro tutto il film.
Cosa resta quando tutto cambia? Quando la fine di un’epoca viene sancita da una partenza, una morte, una guerra? Resta il vento, uguale a prima, gli spinifex che rotolano lungo la strada principale, e tante piccole storie unite tra loro con la trama leggera di un’illusione: il sogno di cambiare che si può materializzare solo in un film, una storia che ne possa sublimare mille altre. Le delusioni avanzeranno insieme alla vita, e il modo per lenirle sarà l’amore, quello quieto di chi cerca comprensione e accoglienza.
Bogdanovich, che ci ha lasciati qualche giorno fa, scelse nel suo film d’esordio di raccontare il proprio amore per il cinema attraverso la rappresentazione di un mondo scomparso. L’innocenza di una nazione, già raccontata in altre storie, qui diventa un affresco collettivo in cui la periferia diventa il centro del mondo.
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