Dalla collaborazione tra Mastroianni e Fellini emerge un nuovo tipo di uomo dalle ceneri del latin lover. In che modo?
La relazione tra Mastroianni e Fellini è stata definita dallo stesso regista come quella tra sé e un alter ego cinematografico. Sotto un punto di vista psicologico quest’affermazione può far pensare a un rapporto a senso unico, come se Fellini avesse “usato”, per modo di dire, Mastroianni al fine di esprimere ed esplorare un lato del sé. Spesso si è trovato che questo lato fosse quello del seduttore, del latin lover, e in effetti si può dire che i personaggi creati da Mastroianni e Fellini possano essere riassunti in uno solo, quello di Snàporaz che prima taciuto, poi utilizzato come soprannome e infine come nome vero e proprio del personaggio, emerge nel passaggio da La Dolce Vita (1960), attraverso Otto e Mezzo (1963), a La Città delle Donne (1980).
È vero che Fellini si sottopose a un lavoro di psicologia analitica con lo junghiano Ernst Bernhard, incontro di cui ci resta un formidabile quaderno dei sogni edito recentemente. Dunque è lecito pensare che il regista stesse operando in maniera consapevole un “tributo all’inconscio”, come raccomandava Jung, nei suoi lavori. Ma possiamo davvero ridurre la coppia Mastroianni e Fellini a un rapporto tra marionetta e ventriloquo? Va innanzitutto notato che l’attore stesso ha lavorato nell’arco della sua intera carriera, non solo con Fellini, alla decostruzione dello stereotipo del latin lover che gli veniva attribuito , come viene simpaticamente fuori in una spassosa doppia intervista del 1977 con Sophia Loren al Dick Cavett Show. Si può dunque parlare del suo rapporto con Fellini come di una collaborazione; e non solo artistica, anche psicologica.
Ho pensato dunque di far emergere i risvolti psicologici di questo lavoro a due in una trilogia di articoli, seguendo il filo cinematografico succitato, concentrandomi sugli esiti del ritratto che Mastroianni e Fellini fanno dell’insicurezza maschile davanti al mistero che avvolge la donna. Mi avvarrò dell’uso, come già fatto in un altro articolo, di un archetipo dell’inconscio collettivo, in questo caso l’Anima, l’immagine del femminile che la psicologia junghiana considera risiedere nelle profondità della psiche maschile. Nel presente scritto mi occuperò de La Dolce Vita.
LE QUATTRO DONNE DE LA DOLCE VITA, IL FEMMINILE MULTIFORME
Per la Dolce Vita, uno dei più importanti del cinema italiano, Mastroianni e Fellini danno vita a Marcello Rubini, un aspirante letterato che si procura di che vivere con servizi per giornali scandalistici. Come la sua vita professionale, anche quella del cuore è confusa tra alte aspirazioni e avventure insignificanti. Da un lato c’è Emma, la fidanzata gelosa e materna di cui Marcello vorrebbe ma non riesce a liberarsi; dall’altro numerose donne fatali, di cui conosciamo soltanto Maddalena, ricca ereditiera dedita a oscuri passatempi bizzarri, e ovviamente Sylvia, l’indimenticabile donna primigenia che invita Marcello a bagnarsi nella Fontana di Trevi.
Davanti a tutte queste donne Marcello prova a mantenere un contegno distaccato, da moderno latin lover in completo nero, ma davanti a tutte finisce per capitolare. Dopo averla abbandonata su una strada deserta, torna a prendere Emma per cui, in più di una scena, mostra un’estrema apprensione: all’inizio del film quando la donna tenta il suicidio ingerendo barbiturici, e nel momento in cui pensa di averla perduta nella calca causata dai bambini che dichiarano, falsamente, di vedere la Madonna. Quest’ultimo è un momento molto interessante poiché lega a Emma la figura della Vergine Maria. La Madonna non appare realmente, si tratta di un finto miracolo organizzato a uso e consumo del pubblico cattolico che si compiace delle telecamere puntategli addosso. Fellini inserisce così il tema della chiesa cattolica che approfondirà in Otto e Mezzo.
Dunque Emma è la Madonna? No, è una semplice donna innamorata di un uomo infedele, ma porta in sé qualcosa di quel simbolo: è un femminile tormentato dalle sorti del maschile a cui è legata e che respinge le sue cure. Rappresenta una manifestazione tradizionale dell’Anima, il materno cattolico, ora alle prese col cambio dei tempi incarnato in un maschio, Marcello, che inizia a prendere coscienza delle fragilità dell’immagine maschile fino ad allora dominante ma si ribella al contatto con le proprie fragilità, con la sua stessa femminilità. Le motivazioni per cui Marcello si allontana da Emma sono in parte molto più profonde della ricerca di avventura. Egli è in cerca di un amore nuovo, diverso sia da quello matrimoniale e che da concubinato.
Marcello cerca la Donna, e così gli si aprono le profondità dell’Anima, junghianamente intesa come l’archetipo che collega la coscienza all’inconscio, e ciò gli apre le sue stesse profondità. È impossibile non pensare al rapporto che si costituisce tra la fontana di Trevi dove Marcello viene attirato da Sylvia, e l’inconscio in quanto fonte di contenuti inesplorati. L’incontro con Sylvia ha inizio per Marcello con il solito atteggiamento apparentemente blasé. A differenza degli altri giornalisti non sembra incantato dalla bellezza giunonica di Sylvia e presenzia alle sue interviste in una veste di puro osservatore. Le cose cambiano in maniera repentina quando, dopo averla inseguita su per il campanile che dà su Piazza San Pietro, Marcello inizia a rimanere affascinato dall’attrice svedese. Ma il giornalista/letterato ne subisce un’attrattiva differente rispetto a quella dei suoi colleghi.
Marcello vede infatti in Sylvia una femminilità ultramondana, e le parole che le sussurra mentre danzano sono lontanissime dai complimenti per essere una «bella bisteccona» che le vengono rivolti dal resto degli uomini. Le dice di trovare in lei «la prima donna, l’amante, la madre, la sorella, la casa». Nella scena seguente li vediamo in una Roma notturna desolata, volendo Fellini sottolineare la dimensione interiore in cui si svolge la vicenda per Marcello, e finalmente nella Fontana, in luogo del bacio che lo spettatore si aspetterebbe, avviene qualcosa di potentemente simbolico: Sylvia versa sul capo del protagonista delle gocce d’acqua, come a “ribattezzarlo” per portarlo fuori dal vortice mondano in cui, qualche scena dopo, dirà di essere rimasto bloccato.
Questo blocco viene rappresentato nella notte che insieme a Maddalena trascorre nel castello dei nobili decaduti. La scena rivelatrice è di un’estrema complessità psicologica oltre che di bellezza estetica: per mezzo di un sistema di risonanze creato dalla struttura architettonica del castello, attraverso una fontana dismessa Maddalena può comunicare con Marcello che si trova in una stanza lontana. Lei gli confessa il suo desiderio di amarlo ma allo stesso tempo l’impossibilità di andare oltre i loro rendez-vous di una sola notte. Marcello le corrisponde e propone di uscire allo scoperto, di amarsi finalmente; ma in quello stesso momento vediamo Maddalena consumare un bacio con uno sconosciuto proprio accanto alla fontana prosciugata. Marcello esce dalla stanza, la cerca, ma non la trova più. La fonte di Maddalena è secca e in rovina.
L’ultimo incontro col femminile s’incarna per Marcello Rubini in una giovane cameriera perugina incontrata in riva al mare, dove si è rifugiato apparentemente da Emma , ma dove in realtà sta cercando di fuggire proprio la dolce vita. La scena è in apparenza insignificante, dopo poche battute in cui la giovane chiede al giornalista/letterato di insegnarle a battere a macchina, quest’ultimo richiama Emma, con cui ha appena avuto un litigio telefonico, che gli risponde «che cos’è che vuoi?». Ed è proprio questa la domanda cui Marcello non sa rispondere quando gli viene rivolta dal femminile. Sul personaggio della cameriera bisognerà tornare, ma prima va analizzata la forma in cui nel film si presenta il maschile.
L’IMMAGINE DEL PADRE, IL MASCHILE ANACRONISTICO
Di ritorno a Roma, Marcello ha un incontro con suo padre, venutolo a trovare col pretesto delle poche lettere spedite dal figlio. Durante la serata il padre, un uomo apparentemente affabile e molto paterno, manipola a poco a poco Marcello, desideroso di compiacerlo, al fine di passare una notte di stravizi. Finiscono insieme in un locale dove l’anziano seduce una ballerina, vecchia conoscenza di Marcello. È importante notare che si tratta di un posto già frequentato dal padre ai tempi della sua gioventù, poiché tutto in questo frangente del film punta proprio a un’ immagine maschile appartenente al passato. Stereotipo di virilità italiana aggressiva, il padre finisce miseramente per fallire il suo assalto amoroso. Il sottotesto dell’ultima scena col padre implica che il presunto malore avuto durante il tentativo di andare a letto con la ballerina, fosse in realtà una finzione per coprire l’impotenza.
Nonostante l’insistenza di Marcello affinché resti, il padre va via in piena notte. Anticipata dalle rivelazioni di Marcello a Paparazzo, personaggio con cui aveva condiviso il tavolo al locale insieme al padre, l’immagine del maschile riflessa dal padre si dimostra incapace di amore e dedizione per qualcuno fuori da se stesso. È l’immagine che Marcello cerca in tutti i modi di assumere su di sé pur trovandola inadeguata alla propria personalità e “fuori dal tempo”.
L’altro uomo di Marcello è Steiner, l’amico intellettuale con cui, più volte lo ripete, ha avuto pochi incontri ma di grande significato. A noi è dato vederli insieme in tre occasioni. Nella prima s’incontrano in chiesa – si ricordi l’importanza dei luoghi di culto nel film, dove Steiner suona per Marcello la Fuga in re minore di Bach all’organo. Nella seconda, Marcello ed Emma vengono invitati insieme a casa di Steiner. Qui quest’ultimo ha una conversazione con una poetessa inglese a proposito del rapporto tra uomo e donna, che viene catturata di nascosto da un altro ospite sul registratore di Steiner e poi riprodotta per il divertimento di tutti gli invitati col nome giocoso (ma di grande significato ai fini di questo articolo) La saggezza femminile e l’incertezza maschile.
La poetessa descrive il carattere di Steiner «primitivo come una guglia gotica. Sei tanto alto che non puoi sentire più nessuna voce». Steiner risponde «Se mi vedessi nella mia vera statura, ti accorgeresti che non sono più alto di così», facendo con la mano il gesto di qualcosa di molto piccolo. Per un caso, la conversazione viene registrata sullo stesso disco che Steiner aveva utilizzato per registrare dei suoni della natura; per cui alla battuta dell’intellettuale segue un rombo di tuono. Il boato è un presagio del terzo e ultimo incontro fra Steiner e Marcello, quando il primo si suiciderà dopo aver ucciso i due figli ancora bambini.
L’ideale maschile della tradizione, in questo caso nella sua versione intellettualizzata, si dimostra di nuovo un mero ideale, «tanto alto» da essere irraggiungibile, inadeguato e impotente, piccolo contro una realtà che mostra i caratteri oscuri dell’Anima, violenta e incomprensibile come la natura.
L’ANIMA: AMMUTOLITA O INASCOLTATA?
Marcello resta scosso dalla morte di Steiner e abbandona per sempre la parola scritta, anche quella giornalistica, per darsi alla pubblicità. Dopo l’ennesima notte di eccessi finisce sullo stesso litorale su cui aveva incontrato la giovane cameriera. Dei pescatori portano a riva un mostro marino: una gigantesca razza morta, col ventre rivolto verso il cielo e gli occhi ancora spalancati. Mentre la compagnia di Marcello è impegnata a osservare il pesce, dall’altro lato di uno specchio d’acqua che divide in due la battigia, la giovane cameriera chiama Marcello e con le mani fa il gesto di battere a macchina.
Un vento assordante rende impossibile comprendere le parole della ragazza, e così l’immagine è in grado di dividere per l’ultima volta il mondo della Dolce Vita in mondano e ultramondano: Potrebbe stare chiedendo di riprendere quelle lezioni in sospeso, ma viene il dubbio che sia un simbolo: potrebbe trattarsi di una musa, ancora una forma attraverso cui si manifesta l’Anima, che invita Marcello a tornare alle originarie aspirazioni da letterato. Il protagonista si dimostra però debole come gli ideali che ha perduto, finge di non comprendere, si volta e raggiunge la compagnia che lo riporta alla mondanità disperata.
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