“Michael, caro Michael, certo che sei tu, chi altri potevamo mandare, chi altri è così affidabile? Hai fatto tanta strada e sei pronto a metterti al lavoro, lo so, ti dico solo aspetta, solo aspetta, solo aspetta, ti prego stammi a sentire, perché questo non è un episodio, una ricaduta, una cazzata. È… Ti supplico Michael, ti supplico, prova a cercare di credere che questa non è pura follia, perché questa non è pura follia”

Il film Michael Clayton (Tony Gilroy, 2007) si apre con un delirante monologo. Lo spettatore viene immediatamente gettato in un caos incessante di luci, finestre e poi gli schermi, gli innumerevoli schermi di New York City di notte. La macchina da presa si sposta lentamente all’interno di uno dei tanti edifici e una voce parlerà di “illuminazione” avuta uscendo dal “vasto e potente studio legale per cui lavora”. 

Prima di continuare, è preferibile fare una premessa: Michael Clayton è un elegante analisi in cui i confusi concetti contemporanei di schizofrenia, potenza del falso, sintesi passiva e scelta spirituale trovano concretezza nelle menti dei personaggi.

Torniamo al film, in cui il nostro protagonista Arthur Edens (quello che tanto spaventa, ma che alberga pigro e assuefatto dentro ognuno di noi), si rende improvvisamente cosciente dell’importanza del tempo, del qui ed ora. “Il tempo è ora”, balbetta, affermando di essere rinato dalla sua carriera in un’azienda che “espelle il veleno” dall’umanità. 

Arthur sta difendendo una società denominata U-North da una class action da tre miliardi di dollari per inquinamento ambientale. Durante un incontro con le vittime della U-North, Edens conosce la giovane Anna che ha perso i suoi genitori per l’inquinamento del suolo causato dall’azienda. Ecco il punto di svolta, un incontro, Animus incontra Anima in una sorta di accensione dell’interruttore sinaptico nella mente del protagonista. Il suo modo ordinario di pensare, a sostegno delle multinazionali che dovrebbe difendere, cambia bruscamente ed egli comincia a vedere le cose in modo nuovo. Smette di prendere il farmaco per la depressione maniacale e così la folle ribellione contro il suo comportamento abituale comincia finalmente a fomentare. 

L’uomo non risponde più al sistema- società-mondo, ma risponde unicamente al suo personalissimo modo di interpretare la realtà dei fatti mentre “gli amici” preoccupati intorno a lui cercano di convincerlo a riprendere il farmaco (perché si sa, il delirio fa paura, allontana, è il Male incondizionato che il sistema non è in grado di controllare e quindi, la sua unica vera Kryptonite). 

In una scena chiave del film vediamo Edens al centro di una strada di New York, il traffico lo assale da tutti i lati e cosa più importante, centinaia di schermi urbani lo circondano trasmettendo annunci pubblicitari sulla tecnologia della U-North. Mentre la macchina da presa ruota intorno a Edens, esasperando il flusso vorticoso delle immagini, delle luci e dei suoni che lo circondano, l’uomo è come congelato. Nel mezzo di questa follia lo vediamo realizzare qualcosa in quel preciso istante: il tempo (di cambiare) è ora. 

Arthur Edens, delirante e intelligente, sorpreso nel vortice del paesaggio urbano contemporaneo di schermi essi stessi connessi ad agglomerati di potere, capitali e movimenti transnazionali di popoli, beni e informazioni. 

Per diversi motivi il film Michael Clayton ci porta al cuore del discorso.

Nel corso della pellicola si fa ripetutamente (ma parzialmente) riferimento alla follia di Edens ma è importante riconoscere che il suo delirio non è solo follia. Piuttosto, i sintomi di Edens e più in generale la schizofrenia possono essere considerati come un segno dei tempi: la decostruzione del mondo (singolarità ed eventi che non sono sotto il nostro controllo), la dissoluzione del soggetto (inteso come perfetta macchina della società, prendere coscienza della realtà delle cose porta alla scomparsa del soggetto così come pensavamo di conoscerlo), la monetizzazione della politica (la disillusione di un mondo ideologico che per funzionare deve comunque sempre rispondere al Dio denaro) e il tentennamento del linguaggio (sintassi e stile costruiti ad hoc per il lavaggio “necessario” delle menti). 

Il fondamentale carattere delirante del monologo d’apertura di Edens si esprime potentemente nell’intensa descrizione del “divenire un altro”: dalla rinascita alla morte, egli crea un corpo senza organi che resiste alla normale organizzazione della sua azienda (e la rifiuta) e a tutte le strutture di potere istituzionalizzate che essa coinvolge. 

Gilroy ci spiega che ciò che chiamiamo delirio è qui vestita dalla dolorsa e disorientante presa di coscienza che tutto quello per cui prima Micheal combatteva e in cui credeva altro non è che un investimento in campo socio-politico. Ognuno ha un ruolo che deve saper rispettare per essere riconosciuto come parte integrante della grande macchina industriale. Il potere di delirio non è “solo” il potere della follia, ma anche una particolare forma di resistenza ai modi di vita della realtà. 

Il regista chiede al cinema, all’Arte, di contribuire a darci delle ragioni per credere nel mondo. Ma va da sé che c’è sempre un prezzo da pagare ed in questo caso è l’incontro con la follia. Attenzione, non la fusione bensì l’incontro. Perché noi rifiutiamo tutto ciò che non possiamo comprendere beatamente inconsapevoli di contribuire al contrario a rafforzarne i poteri. 

Il confronto schizofrenico con la follia può avere a che fare con due importanti “sintomi schizofrenici” con cui la cultura contemporanea deve vedersela oggi più che mai: la potenza del falso e la potenza degli affetti. Il falso può si essere vile e letale ma come ogni cosa è necessario accettare che ci sia anche un’altra faccia, quella nobile e creativa. Grazie al suo delirio infatti Evans si “risveglia”. 

Le potenze del falso giocano un ruolo diverso rispetto al metterle a servizio della macchina capitalista quando Edens diviene allucinato nel suo delirio ma queste allucinazioni sono più reali di ciò che egli stesso aveva precedentemente preso per realtà. Attraverso di esse Edens è in grado di vedere realmente come il sistema dell’azienda funzioni contro l’umanità. 

La potenza degli affetti, di fondamentale importanza, permette a Edens di vedere con incredibile chiarezza la verità affettiva della sua attuale condizione. L’edificio in cui si trova, infatti, diviene un corpo lurido ed egli, nel suo delirio, diventa l’escremento di tale corpo coperto dalla sporcizia di ciò che accade al suo interno.

Ecco, il “divenire altro” in un mondo in cui (accolta l’esasperazione distopica del film in questione), l’omologazione sembra essere l’unico sinonimo di “normalità”. 

Analisi a parte, è un film in cui ironia e dimestichezza di linguaggio non mancano, piccolo grande capolavoro semi-drammatico!