Murina (Croazia, Slovenia, Brasile, USA, 2021). Regia: Antoneta Alamat Kusijanović. Interpreti principali: Gracija Filipović, Danica Čurčić, Leon Lučev, Cliff Curtis, Jonas Smulders
Tutte le famiglie equilibrate sono uguali, ogni famiglia disfunzionale è disfunzionale a modo suo: perché un figlio fragile ottiene più attenzioni degli altri, una madre istrionica occupa completamente la scena o un padre assente la rende uno spazio vuoto che ciascuno riempie come meglio crede. In Murina, opera prima della giovane regista croata Antoneta Alamat Kusijanović, c’è Ante, un padre padrone che svilisce continuamente la figlia adolescente Julija dandole ordini, imponendole di recitare poesia al cospetto degli ospiti o mortificando il suo aspetto fisico. In questo delicato equilibrio fanno parte anche Nala, la madre giovanissima di Julija, e Javier, un vecchio amico del padre che torna dall’estero dopo tanti anni per aiutarlo a concludere un affare importante.
Javer è l’elemento di rottura in un equilibrio precario che fino a quel momento ha però retto egregiamente: forse per l’isolamento (la famiglia vive su un’isola della Croazia e ha pochi contatti con l’esterno), o per una cultura che accetta come normale un padre disaffettivo, svalutante e colpevolizzante, o per la concreta impossibilità che madre e figlia hanno di ribellarsi. Solo sott’acqua padre e figlia condividono un mondo, l’unico che li accomuna, quando vanno a caccia di murene: uno le stana, l’altra le colpisce con la fiocina; solo nel silenzio della profondità, dove si nuota in apnea e si fa economia di gesti ed espressioni, i due sembrano coordinarsi.
Ante e Javier intendono preparare una grande serata in cui gli ospiti mangeranno bene, berranno tanto, e l’uomo d’affari che li accompagna si convincerà a comprare un terreno. In questo lungo fine settimane di sole e immersioni, di scogli abbaccinanti e sale sulla pelle, Javier gioca una seduzione sottile e costante con Nela, di cui un tempo è stato innamorato, mentre Julija considera questo straniero gentile e affascinante la sua unica possibilità di fuga dalla gabbia in cui si trova.

Il titolo del film richiama un animale feroce che si rintana nelle rocce per nascondersi dai predatori e uccidere le sue prede, mentre Julija è una sirena che per tutto il film veste costumi da bagno attillati che indossa su un corpo flessuoso e privo di malizia, in piena armonia con la natura che la circonda. Isole incantate a due passi da qui, in un Adriatico che noi identifichiamo invece come una riviera fatta di divertimenti chiassosi e arenili affollatissimi.
La tensione sale lentamente: tra Javier e Nela, tra Julija e Javier, tra madre e figlia, e tra i due maschi che fingono di non vedere ciò che accade, nascondendosi dietro il mito dell’amicizia virile e il miraggio di un affare che potrà cambiare le loro vite.

La pellicola appare piuttosto sbilanciata nei suoi elementi strutturali (più potente quello visivo, più sfrangiato e allentato quello narrativo), ma rimane forte l’impressione di un’avventura estiva dove la tensione cova sotto il pelo dell’acqua. La fissità dello sguardo di Julija, i suoi occhi inespressivi, raccontano la modalità che lei ha scelto per difendersi da una famiglia così: sotto una patina di indolente indifferenza si nasconde una ribellione che cova lenta, il disperato bisogno di un aggancio a qualcuno che la porti via da lì, il desiderio di riscattare con un gesto anni di soprusi.
E’ un racconto di estate come momento di libertà: il sole, l’acqua salata, le nuotate e gli incontri con altri ragazzi, il caldo, i pranzi sotto il pergolato, il vino, la pelle salata e arrossata dal sole: la luce e il mare sono i veri protagonisti, quello che passa davvero al di là dello schermo. Come se gli uomini e le donne che attraversano la storia fossero piccoli esseri rinchiusi in microcosmi incomprensibili, davanti a una natura immobile che li lascia agitare attaccati a progetti evanescenti e a futili pretese di controllo, con un’indifferenza che li rende ancora più piccoli.
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