Non odiare (Italia, 2020). Regia: Mauro Mancini. Interpreti Principali: Alessandro Gassman, Sara Serraiocco, Luka Zunic, Lorenzo Buonora, Lorenzo Acquaviva.
Durante un allenamento in canoa lungo un fiume un uomo assiste da lontano a un incidente automobilistico. Accorso sul posto, scopre che il ferito ha dei simboli nazisti tatuati sul corpo. Il suo dovere di medico dovrebbe imporgli di provare a salvarlo, ma non lo fa e si limita a chiamare i soccorsi.
Lo spunto è colto da un fatto di cronaca avvenuto qualche tempo fa in Germania, e lo sviluppo segue la strada che Simone Segre, chirurgo di origine ebraica, ha scelto di imboccare: è un uomo solitario, aggrappato al proprio lavoro di chirurgo e appesantito dal ricordo di un padre che per sopravvivere in un lager ha curato, come dentista, i gerarchi nazisti.
Scendere a patti con il proprio oppressore: è questo il peso che Simone si porta dentro dopo la morte del padre, e che affronta facendo la scelta opposta.
Quando il ferito muore in ospedale, Simone cerca di capire chi fosse ed entra in contatto con Marica – la figlia più grande che era andata via di casa e che ora è costretta a farvi ritorno per mantenere i due fratelli più piccoli – che assume come donna delle pulizie. Le domande di entrambi rimangono sospese nel non detto di alcune scene: lei si chiede come mai sia finita a lavorare per quest’uomo che le fa troppe domande e lui, forse, perché stia giocando con vite che aveva scelto di mantenere estranee alla sua.
Mentre Marcello, il fratello ventenne di Marica, guidato dalle proprie certezze di naziskin, prima minaccia la sorella vietandole di lavorare per un “giudeo”, e poi arriva a picchiare Simone con altri due camerati, giovanissimi e rasati come lui.

La casa del padre di Simone ospita un cane lupo molto aggressivo, sempre rimasto alla catena, e stanze zeppe di mobili accatastati. Un ambiente da svuotare davanti al quale Simone e Marica iniziano a capire come il passato sia qualcosa che prima o poi va lasciato andare. Sono due esseri umani oppressi dalla figura paterna e dalle conseguenze delle sue scelte, stanchi di essere vittime di qualcosa che non è dipeso da loro.

La svolta per tutti arriverà sotto forma di accidente esterno che piomba nottetempo nell’appartamento di Simone, e che costringerà tutti i presenti a guardare dentro di sé come finora non erano riusciti a fare.

L’opera prima di Mauro Mancini racconta un percorso di rinascita scandito da tappe silenziose, riflessioni personali, desiderio di comprendere ciò che fino a quel momento ci si è limitati a subire come ineluttabile. La scelta di non curare è una risposta che non basta più. Quella di non odiare, titolo icastico per un film costruito invece sui dubbi e sulle sfumature, è forse la risposta. Capace di portare al dialogo, allo scontro, ma anche di generare un confronto doloroso con ciò che è diverso da sé. Il cane lupo che abbaia continuamente sta per essere lasciato in un canile, ma il suo lamento privo di ogni difesa spinge Simone a tenerlo con sé, un essere vivente di cui prendersi cura, e che nell’ultima scena lo accompagna in uno scenario naturale incantato.
Le braccia dei camerati che durante il funerale scattano in alto come clic compulsivi, l’aggressione all’auto della polizia che ha trovato il colpevole dell’incidente, il senso dell’onore e del rigore come esoscheletro collettivo delle proprie esistenze, sono raccontati senza presa di posizione, semplici fatti che la cronaca di questi tempi ci prospetta con frequenza sempre maggiore. Così come una profonda rabbia sociale alimentata dal fatalismo e dalla ricerca di un nemico, la difficoltà di riscatto, un ascensore sociale fermo da tempo allo stesso piano e la vita che comunque deve proseguire, affrontando in qualche modo le paure che questa incertezza ci pone davanti.
I tre protagonisti tratteggiano i propri personaggi in modo straordinario, sia nella misura del dubbio che nella sguaiataggine delle certezze. Il fratellino piccolo parla con il “giudeo” con naturalezza, gli chiede se è arrabbiato con lui, ma poi saluterà la tomba del padre alzando il braccio destro, come ha visto fare al fratello tante volte. Non siamo a Hollywood e manca un finale salvifico. Ma c’è una strada da percorrere, e tutti i personaggi sapranno trovare la forza per farlo, a modo loro: sbandando e cadendo, rimettendosi in piedi e continuando a camminare.
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