Olympia: festa di popoli (Olympia: Fest Der Völker, Germania, 1938) E Olympia: Festa di bellezza (Olympia: Fest Der Schönheit, Germania, 1938). Regia: Leni Riefensthal. Interpreti principali: Adolf Hitler, Jesse Owens, Luz Long, Spiridon Louis, Rie Mastenbroeck, Jack Beresford, Leni Riefensthal.

Durante le prime Olimpiadi dell’era moderna che non si tengono nell’anno bisestile può essere interessante uno sguardo al passato per comprendere come si sono evoluti i Giochi, e la loro narrazione, in poco meno di un secolo.

Helene Bertha Amalie Riefensthal, conosciuta come Leni, nacque nel 1902 a Berlino: dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti a 21 anni iniziò una carriera di danzatrice che fu presto interrotta da un infortunio al ginocchio. Si dedicò allora al cinema e a 24 anni girò il suo primo film come protagonista. Lavorando insieme al regista che l’aveva fatta esordire scoprì le potenzialità del grande schermo e a 30 anni girò il suo primo film. Aveva 34 anni, una curiosità vivissima per ogni espressione artistica e un talento già dimostrato in ambiti diversi, quando Hitler le commissionò le riprese delle Olimpiadi di Berlino. Il führer aveva sempre avuto velleità artistiche, mentre Leni cercava qualcuno che le offrisse tutti i mezzi possibili per esplorare le opportunità ancora nascoste del mezzo cinematografico. Fu questa, forse, la base comune per cui i due si incontrarono riuscendo a dare vita al primo documentario mai girato su un’Olimpiade.

Heidegger era colluso con il nazismo? D’Annunzio con il fascismo? Evtušenko o Diego Rivera con la nomenklatura sovietica? La politica si alimenta con l’arte? E l’arte può restare davvero fuori dalla politica? Non prendere le distanze da quello che, con il tempo, sarebbe stato identificato come un regime, significa averlo sostenuto?

E poi, sono possibili altre letture? Ad esempio, pensare che un artista non sia un politico ma una persona in cerca di un mecenate che lo aiuti a liberare la sua creatività? Oppure che non possieda sufficienti strumenti di analisi per leggere ciò che sta accadendo perché vive in un mondo tutto suo, seguendo l’urgenza della sua arte e non le notizie delle opposizioni? O ancora, che preferisca il girone degli ignavi alla scelta tra il Bene e il Male? Sono tre gradazioni di responsabilità diverse dall’essere stata una convinta nazista. Bisognerebbe esserci stati, conoscere vincoli e possibilità delle parti in causa, e comprendere quale fosse il sacro fuoco che, insieme a quello di Olimpia, ardeva in Leni, unica donna a emergere in un mondo – dal cinema alla politica – quasi completamente maschile.  

Il film, denso di suggestioni mitologiche fin dalle sue prime scene (nella prima parte, statue greche che prendono vita e si trasformano in atleti; nella seconda, uomini nudi che escono da un lago nel bosco e prendono cura dei propri corpi in un bagno turco) dura complessivamente 217 minuti ed è diviso in due parti: la prima segue il viaggio del fuoco di Olimpia dalla Grecia fino a Berlino, passando per Paesi che non esistono più come la Jugoslavia o la Cecoslovacchia, oltre a tutte le gare di atletica. La seconda, gran parte delle altre discipline fino alla cerimonia di chiusura.   

La regista ebbe a sua completa disposizione i migliori operatori cinematografici dell’epoca e nello stadio olimpico le fu consentito di costruire una torre per le riprese panoramiche e delle buche accanto alla pista per quelle a livello del suolo.

Aveva a disposizione carrelli a velocità variabile, palloni aerostatici per le riprese aeree, telecamere subacquee per quelle dei tuffi.

Le sagome degli atleti spesso si stagliano verso il cielo, in inquadrature di rara eleganza: è un approccio neoclassico, lontano dalle avanguardie ma anche distante dall’iconografia del regime. Non mancano scene di massa e inquadrature di Hitler, ma nemmeno le gesta di Jesse Owens, quattro ori e un bellissimo rapporto con il suo avversario nel salto in lungo, il tedesco Luz Long.

L’eleganza dei corpi e la forma dell’acqua erano il fulcro del lavoro di Leni, quale artista non ha i suoi archetipi da esplorare? e la sua curiosità sarebbe durata nel tempo, dal momento che dopo i 60 anni viaggiò in Africa per conoscere la cultura Nuba del Sudan e pubblicando lavori fotografici di successo, mentre superati i 70 prese il brevetto per le immersioni subacquee continuando a lavorare e realizzando il suo ultimo documentario all’età di cento anni.    

Probabilmente l’abile propaganda del regime ebbe gioco facile a trasporre nella teoria della razza la perfezione dei corpi, soprattutto maschili, come Robert Mapplethorpe avrebbe raccontato quasi mezzo secolo più tardi. Ma ciò che resta è l’eleganza del gesto, e la sua profonda consonanza con la natura, che sia acqua, terra o fuoco.

In chiusura del secondo film le riprese dei tuffi dalla piattaforma di dieci metri, effettuate da ogni possibile angolazione, raccontano del corpo umano che danza nel cielo, entra nell’acqua, e con un montaggio al contrario torna a volare verso l’alto.

Un corpo eterno, attorno al quale cambiano divise, pettinature, sguardi, ma i cui gesti a volte impercettibili corrono lungo il filo rosso che ci lega al nostro passato, come i saltelli degli atleti subito dopo aver lanciato il giavellotto.

Leni girò 400.000 metri di pellicola, e si occupò personalmente del montaggio, diffidando di possibili interventi del ministero della propaganda, che avrebbero piegato le sue immagini alle esigenze del regime.  Ci mise due anni, e il risultato del suo lavoro ancora oggi risplende di un’eleganza e una modernità senza eguali: un umanesimo di forza e bellezza che, di lì a pochi anni, si sarebbe oscurato trasformando il cielo di Berlino nella notte dell’Europa.  

P. S. Per chi fosse interessato, i due film sono liberamente disponibili in rete. Così come il documentario “La forza delle immagini”, in cui a 90 anni la regista decise di raccontare la sua storia: https://archive.org/details/TheWonderfulHorribleLifeOfLeniRiefenstahl