“Scegliete l’arte. […] Solo nell’arte c’è la libertà senza illusioni. Soltanto un artista  sarà in grado dopo questa catastrofe di restituire all’uomo il senso di libertà. Ciascun uomo, sia egli uno spazzino o un agricoltore, ha la possibilità di essere un artista… sempre che riesca a sviluppare il suo talento soggettivo senza farsi influenzare. Se non siete liberi voi, completamente liberi, non lo sarà nessuno….”

Il film, diretto da Florian Henckel von Donnersmarck (2018) ambientato nella Germania Nazista, qualche anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, prosegue poi rivelando l’evoluzione storico sociale del dopoguerra, quando la Nazione si vede divisa in due, la parte comunista e quella Occidentale. 

Grazie ad una fotografia e a delle musiche meravigliose, “Opera senza autore” permette di immergersi completamente nella storia che viene raccontata.

È il 1937, siamo a Dresda. I medici delle SS vengono proclamati “Periti del Tribunale dell’Eugenetica”. Loro compito è stabilire il destino di pazienti affetti da qualche disturbo mentale. I loro geni “impuri” rischiano di minare la perfezione ossessivamente ricercata e rincorsa della razza Ariana e occupano inutilmente posti letto negli ospedali, destinati invece ai propri soldati.

Kurt Barnert è un bambino di 5 anni, ha una zia schizofrenica con tendenze antisociali, la cui sorte, stabilita da uno dei nuovi periti, sarà la sterilizzazione e la successiva eliminazione. 

È il 1951, la guerra è terminata. Il padre di Kurt, ex insegnante, non riesce a trovare lavoro e in preda alla disperazione è costretto ad accettare di dover lavare le scale di una fabbrica pur di guadagnarsi da vivere. Non riesce a sopportare questa situazione, perciò decide di togliersi tragicamente la vita. 

Il patrimonio genetico di Kurt non sembrerebbe del tutto in linea con gli ideali della Germania Nazista!

Elisabeth, al contrario, è la figlia di un ex medico degli SS. Il Professor Carl Seeband è riuscito a sottrarsi al processo a seguito della guerra, dedicandosi interamente all’emergente ideologia socialista.

Kurt ed Elisabeth si incontrano nell’Accademia d’arte di Dresda, lei studia moda e lui dipinge. Le loro storie si intrecciano ma non è la prima volta. Era stato infatti il Professor Carl Seeband, suo padre, a decidere le sorti della vita della zia di Kurt, quando lui era solo un bambino. Nel corso del film questa notizia non verrà mai resa nota, ne rimarranno tutti all’oscuro.

Tra Kurt ed Elisabeth nasce un amore passionale e travolgente. Sono tante le scene in cui i corpi dei due amanti vengono raffigurate senza veli tra chiaroscuri che ricordano quelli del Canova. 

L’arte si respira in ogni scena del film e in ogni tipo di forma. 

Dresda fa parte della Germania dell’Est, quella comunista, appunto. Qui è negato ogni tipo di libertà artistica.  “Io, Io, Io!” è un concetto che viene duramente demonizzato, ogni espressione d’arte che si discosta dal realismo socialista viene considerata una forma di vanità. Per questa ragione, nonostante Kurt sia riuscito a farsi un nome e sia stato notato per le sue doti artistiche, i novelli sposi, decidono che quel posto non li rende felici e progettano una fuga verso la Germania dell’Ovest alla ricerca della libertà. 

Si trasferiscono a Düsseldorf e Kurt viene accettato in Accademia.

Contrariamente a quanto professato dalla corrente socialista, nell’Accademia di Düsseldorf, viene premiata qualsiasi forma d’arte che si distingua per la sua originalità, che dimostri di essere diversa e rappresenti un’innovazione. Tutto ciò che Kurt desiderava per poter realizzare le sue opere. 

Qui incontra il famoso artista e direttore della scuola, Van Verten. Lui è solito  stringere un “patto” con ogni studente: non chiedergli mai di prendere visione o esprimere un giudizio sui propri lavori. Ma la personalità, le idee e lo sguardo di Kurt, vengono notati da Van Verten che è curioso di dare uno sguardo alle sue rappresentazioni. Ne rimane deluso. “Chi sei tu? Che cosa sei tu? Tu non sei questo!”

Gli spiega che è necessario che l’opera esprima qualcosa, esprima un vissuto personale, esprima una storia, racconti qualcosa, qualcosa di vero. 

Kurt vive una crisi. Questa crisi, però, lo aiuta a trovare il suo stile, a ritrovare se stesso e a raggiungere il successo. Grazie alla sua arte Kurt trova un significato, trova il modo di espiare la sua sofferenza e finalmente sentirsi appagato. 

Spesso è necessario toccare il fondo per prendere consapevolezza del fatto che non si stia andando nella giusta direzione, che per star meglio e sentirsi liberi è necessario arrivare a stabilire quale sia la propria verità.

“Mai distogliere lo sguardo. Tutto ciò che è vero è bello!” la zia, a cui Kurt era tanto legato, gli ripeteva queste parole. Kurt ricorda il momento in cui era stata portata via con l’ambulanza. Si era messo una mano davanti agli occhi e poi l’aveva abbassata. Questo movimento aveva fatto sì che Kurt vedesse tutto sfocato.

La passione di Kurt è la pittura, che in quel momento storico e nella Germania dell’Ovest era, però, ormai in disuso. Kurt decide di dipingere comunque e riprodurre delle fotografie rappresentati momenti e volti per lui importanti, utilizzando una particolare tecnica che facesse apparire i ritratti sfocati. 

Kurt non dichiara alla stampa che quelle opere fossero in realtà strettamente legate alla sua vita, al contrario dice che preferisce non sapere chi siano i personaggi dei suoi ritratti. 

Perché lo fa? Probabilmente perché “Tutto ciò che è vero, è bello!” e non è necessario che lui ne parli, che lui lo dica, che lui lo spieghi. La bellezza e la verità che esprimono le sue opere parlano da sé, non serve aggiungere altro. 

In questa storia emerge la funzione terapeutica dell’arte che lenisce la sofferenza e i traumi, permette di ritrovare un significato ed una verità personali. La figura dell’artista tormentato, proveniente da un contesto familiare gravemente problematico, ne esce vincitrice grazie all’arte e alla nuova identità che gli permette di crearsi, sentendosi libero. Libero dall’essere definito dal suo passato, da uno schema o da una credenza. 

L’arte può essere un mezzo per sublimare qualche forma di follia.