UN’ANALISI DEL RINNOVAMENTO SIMBOLICO DEL MASCHILE NEL SECONDO LAVORO DELLA COPPIA FELLINI-MASTROIANNI
Per riprendere le fila del discorso tenuto nell’articolo su La Dolce Vita, abbiamo osservato che la collaborazione tra Mastroianni e Fellini può essere ritenuta, dal punto di vista psicologico, un’esplorazione della coscienza maschile davanti al femminile e del suo rinnovamento.
Se ne La Dolce Vita il personaggio principale fa fatica e in ultima analisi fallisce nel suo tentativo di uscire dallo stereotipo del latin lover, in Otto e Mezzo questo processo prende un’altra piega. La disintegrazione della Persona, intesa junghianamente come la zona più esterna della personalità, quella in contatto con il mondo esterno, riesce ad attuarsi attraverso un personaggio più maturo, più riflessivo, più a contatto con quegli aspetti femminili del Sé che ne La Dolce Vita apparivano incomprensibili se non minacciosi.
La complessità e la varietà della struttura di Otto e Mezzo non sono analizzabili in un semplice articolo, e in questa sede mi occuperò specialmente del rapporto tra la coscienza e maschile e femminile in termini psicologici, con qualche obbligato passaggio riguardo l’evoluzione personale del personaggio principale.
VICENDA INTERIORE
Il protagonista, Guido Anselmi, è un regista di successo in crisi esistenziale e artistica: il rapporto con sua moglie è in crisi, inizia a soffrire di problemi di salute e il film in corso d’opera non ha, nella sua mente, né capo né coda. Nella stazione termale dove l’intera produzione si è stabilita per volere del regista, Guido si sente perseguitato da tutti: dal suo produttore, sua moglie e la sua amante, il suo staff di fiducia, i suoi attori, i giornalisti e il critico cinematografico che lui stesso ha provveduto a convocare.
È interessante che le rivendicazioni e le domande di quest’ultimo, come degli altri, riguardino proprio le loro perplessità circa il perché il regista li abbia convocati là. Guido non sa quello che vuole e in realtà è lui a perseguitare se stesso. Diverse parti agiscono in maniera indipendente: da un lato la facciata sociale mette in atto strategie non più adeguate alle necessità sociali, dall’altro l’Io si sente per questo motivo “preso dai turchi” e non sa spiegare a se stesso il proprio comportamento. In questa situazione accade a Guido ciò che psicologicamente può essere definito una regressione: ritira le proprie energie dal mondo esterno e le riporta all’interiorità, il luogo dove la vicenda ha realmente luogo.
Il film si apre proprio con un sogno che riassume lo stato psichico di Guido: da un veicolo imbottigliato nel traffico, il protagonista nota che i volti all’esterno – molti dei quali appartengono a personaggi del film – guardano quasi tutti nella sua direzione. Mentre l’abitacolo viene invaso dal fumo, Guido tenta di scappare angosciato, e vi riesce solo attraverso l’apertura superiore dell’automobile. Inizia a volare, sollevato, nell’aria. Questa scena ricorda l’osservazione che la poetessa fa all’intellettuale Steiner de La Dolce Vita: «sei tanto alto che non puoi sentire più nessuna voce».
Si tratta certamente di un sogno che indica il bisogno di fuga del regista. Anselmi viene però tirato giù da un personaggio col volto di Mario Mezzabotta, che si ritroverà un po’ più avanti. Amico del regista, è anche lui alla stazione termale, in una sorta di fuga amorosa con la giovane amante. È altrettanto in preda a una crisi di mezza età. Tutto ciò che vediamo fare a Mario Mezzabotta è negare l’evidenza delle proprie emozioni riguardo il divorzio e l’invecchiamento.
L’incontro con questo personaggio è funzionale per l’evoluzione di Guido in quanto gli mette davanti la propria stessa condizione di marito in fuga. Anche lui ha portato con sé l’amante alle terme, ma a differenza di Mario la tiene nascosta in un altro albergo, e mostra i segni del dubbio riguardo il desiderarla o meno: alla stazione ferroviaria si mostra deluso dall’effettivo arrivo della donna, evade le richieste di rassicurazione affettiva che lei gli fa («Guido, ma mi vuoi bene?» chiede insistentemente). Questa tortura della coscienza culmina nella scena in cui lo spettatore li vede a letto insieme dopo l’amplesso. Guido fa un altro sogno che lo trascina lontano dall’apparente evasione.
IL PADRE IRRAGGIUNGIBILE
Il protagonista sogna di trovarsi al cimitero, insieme a sua madre, dove il padre (interpretato come ne La Dolce Vita da Annibale Ninchi) è sepolto. Va notato che a differenza de La Dolce Vita, questa volta la madre è presente, ma in ogni caso il punto di vista è focalizzato sul genitore di sesso maschile. La presenza di quest’ultimo è per così dire rafforzata da quella di altre due figure paterne: il produttore Pace e il direttore della produzione, Conocchia, che sappiamo aver già affiancato Guido in altri film.
Il padre esprime a Guido il proprio malcontento riguardo la sistemazione nella cripta e, con aria afflitta, anche riguardo i risultati ottenuti dal figlio nella vita quando il produttore e Conocchia entrano nel luogo di sepoltura per manifestare una silenziosa insoddisfazione nei confronti di Guido. Il regista cerca di stabilire un contatto emotivo col padre, ma questi è assente, distaccato. Anselmi manifesta un desiderio, sepolto proprio come il genitore, di recuperare il tempo non trascorso con lui («Abbiamo parlato così poco fra noi», gli dirà), ma il padre si cala in una fossa spiegando di non poter ancora rispondere alle sue domande.
Dunque come ne La Dolce Vita, il paterno è rappresentato come irraggiungibile e distante dalle esigenze emotive del figlio. Anche in questo caso subisce una morte simbolica ma più chiara, definitiva: laddove era stata rappresentata con l’impotenza sessuale, ora avviene l’effettiva sepoltura. Ed è una questione che non si risolverà. Il Padre non risponderà alle domande perché non può né potrà in seguito. L’avverbio di tempo “ancora” è una falsa promessa che indica in realtà la necessità di lasciare andare l’ideale di perfezione che rappresenta.
Come ogni cosa che riguarda l’inconscio, il “luogo” del virtuale e del potenziale, la sepoltura del padre può avere diverse valenze simboliche. Non vale molto elencarle, ma utilizzarne alcune per esaminare le questioni di cui ci stiamo occupando (maschile e femminile e coscienza in rapporto tra loro) ha invece un senso e un’utilità. In questo particolare caso, ponendoci in continuità con quanto osservato riguardo La Dolce Vita, possiamo osservare che la sepoltura del padre può avere due interpretazioni. Da un lato può indicare l’insofferenza di Guido per l’immagine “classica” del maschile distaccata, giudicante e performante; dall’altro il fatto che il Padre scenda sottoterra può essere un richiamo, quasi un invito, a sondare il mondo opposto, quel rimosso del latin lover soltanto accennato ne La Dolce Vita: il mondo dell’emotività, del viscerale, il femminile.
L’HAREM
Dopo la celebre scena dello spettacolo di magia, Guido viene invitato dalla coppia di artisti che si esibisce a farsi leggere nel pensiero. La chiaroveggente scrive sulla lavagna queste parole: ASA NISI MASA che riportano Guido a un episodio della propria infanzia. Si apre un flashback sul Guido bambino circondato da donne amorevoli di tutte le età, sorelle, madri, nonne, in uno scenario rurale. Poco più avanti, lo spettatore si trova davanti a un’altra fantasia, nello stessa masseria dell’infanzia, ma con un Guido adulto circondato dalle donne della sua vita: sua moglie, la sua amante, alcune donne incontrate solo di sfuggita, altre provenienti dal mondo dello spettacolo e dal suo passato.
Nell’harem Guido spadroneggia come un Re Salomone, tutte le donne obbediscono alla sua volontà e mettono addirittura in scena una finta ribellione per dargli modo di dimostrare la sua forza maschile. Sua moglie, su tutte, è molto diversa dalla realtà, si adatta all’infedeltà di Guido e si comporta come una delle donne della sua infanzia: si dà alle faccende di casa e si compiace del proprio ruolo. La scena non può essere valutata come negativa o di tipo regressivo. Al contrario segna un passaggio importante per lo sviluppo in Guido di una coscienza maschile moderna. Le sue fantasie non vengono rimosse o giudicate, ma attraverso la loro rappresentazione in immagini, vengono collocate nel giusto spazio, quello dell’immaginazione, e così ridimensionate e separate dalla realtà.
RINASCITA E SISTEMAZIONE DEL COSMO PSICHICO
Questo passaggio avviene da un lato per l’abbandono di un ideale maschile ormai superato e inadeguato, dall’altro si presenta la necessità di fare i conti con quello femminile. Nell’harem va notato che manca Claudia, l’attrice-musa che avrebbe dovuto ricoprire un ruolo salvifico nel film di Guido, ma che il regista non riesce a definire. In un’altra scena, mentre la produzione rivede i provini delle attrici per scegliere le interpreti dei vari personaggi femminili, Claudia arriva, chiamata da Guido sul set. I due si allontanano in automobile e Guido riesce a comunicarle, o meglio è Claudia che riesce a comprenderlo dalle sue parole confuse, che il film non si farà e che in ogni caso lei non sarà inclusa.
Quest’ultima scena e l’assenza di Claudia dall’harem possono essere letti come un’altra rinuncia all’ideale, questa volta femminile, in visione non solo di una realtà ma anche di fantasie più terrene. L’Anima di Guido perde così il carattere deformante che aveva avuto nei confronti della realtà e torna a essere una mediatrice tra io e inconscio. Le fantasie, risistemate nel cosmo psichico, possono essere di nuovo fruite come fonte creativa. Ma per far sì che il flusso torni a scorrere, a Guido resta la necessità di compiere un ultimo sforzo, lasciare andare un ultimo ideale: l’immagine di sé che aveva costruito per gli altri.
Il motivo psicologico centrale di Otto e Mezzo è, a mio parere, proprio questo: anche la fantasia può subire degli arresti e delle paralisi dovuti ad aspirazioni troppo distanti dall’individuo reale, condizionate dall’irrigidimento dell’immagine che si vuole dare al mondo sociale. Per tornare a contattare la propria creatività, Guido deve commettere un suicidio metaforico, rappresentato nella conferenza stampa in cui immagina di spararsi un colpo alla testa per sfuggire ai giornalisti e alle pressioni del produttore. In questo modo la Persona viene ridimensionata e torna a servire il proprio scopo, quello – di nuovo – di mediare tra l’io e l’esterno, non di occultare il primo in favore del secondo.

Il film si chiude sull’immagine di Guido bambino, vestito di bianco, che suona uno strumento a fiato. Ancora una volta, non si tratta di un’immagine regressiva, poiché poco prima vediamo il Guido adulto dirigere questa sua rappresentazione verso il centro della scena. Ciò che fa il regista è lasciare spazio alla propria parte bambina, ora libera, e potremmo dire protetta dall’adulto ormai maturo e consapevole, di esprimersi. Guido e con lui il maschile di cui si fa portatore, dal suo sogno nel cielo e dalla guglia gotica della Dolce Vita, sono tornati sulla terra e a nuova vita.
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