People in the sun (titolo originale Mennesker i solen, Norvegia, 2011). Regia: Per-Olav Sørensen Interpreti principali: Kjersti Holmen, Ingar Helge Gimle, Ane Dahl Torp, Jon Øigarden, Ghita Nørby, Oscar Lunde, Ingvar Grimberg, Hjördis Kjällman
“…e il sole divenne nero come un cilicio di crine e tutta la luna diventò come sangue e le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi e il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola e ogni montagna e ogni isola fu rimossa dal suo luogo.”
Libro dell’Apocalisse, 12-14
Quanto ci scuotono le notizie sul cambiamento climatico che, giorno dopo giorno, ci arrivano da tv e giornali? E dopo aver letto di estati sempre più calde, ghiacciai che scompaiono, animali selvatici che arrivano in città, intere popolazioni costrette a migrare altrove per l’innalzamento degli oceani o la scomparsa dell’acqua, che spazio diamo a questo nuovo dis/equilibrio tra noi e il pianeta che ci ospita? Abbiamo iniziato a darci da fare, anche solo prestando una diversa attenzione alla raccolta differenziata e a chiudere il rubinetto quando l’acqua non serve?
Midsommar è la festa di mezza estate che in Scandinavia costituisce un appuntamento molto sentito per godere la natura all’aria aperta e riunirsi per canti e balli attorno a un falò nella sera più lunga dell’anno. Due famiglie norvegesi, ospiti di un villaggio vacanze sul mare della Svezia, decidono di non seguire gli altri villeggianti alla festa e restano all’interno del villaggio, organizzando una cena all’aperto davanti ai propri bungalow.

Stig e Ingrid sono una coppia giovane senza figli. Lei è distratta, tanto che si è dimenticata di prenotare il bungalow con la vista migliore sul mare. Lui continua a rimproverarla per l’errore, ma anche per il vizio di mangiarsi le unghie e di cantare con qualche stonatura di troppo. Svante e Siv invece hanno qualche anno in più e un figlio originale, che non parla da anni e gira tutto il giorno indossando un salvagente anche quando è lontano dall’acqua.
Un desiderio fuori tempo di Svante lo spinge a ciucciare l’alluce della moglie sdraiata al sole in spiaggia, mentre lei, infastidita da questo approccio non gradito, gli rimprovera di non aver rasato i peli che ha su tutto il corpo. Qualche battuta fuori luogo nei confronti di Ingrid, reciproci silenzi imbarazzati nella cena a quattro, una socialità autoimposta e quindi difficile da mantenere, fanno da sfondo a fenomeni sempre più strani: pesci morti, fulmini a ciel sereno, pioggia di cavallette, il mare che brontola in lontananza.
Tutti segnali che le due coppie continuano a ignorare, prese come sono dal bisogno di evidenziare le mancanze del/la partner. Ancora più che cercare complicità nelle nuove conoscenze, di parlare con una vicina eccentrica o di coinvolgere il piccolo Simon, tanto ignorato che a un certo punto sparisce dalla vista degli adulti.

Solo quando la terra si aprirà davanti allo spiazzo in cui stanno mangiando creando una voragine di cui non si vede il fondo, si renderanno conto della sua sparizione e inizieranno una ricerca forsennata. Ma il villaggio è vuoto, lo spaccio è chiuso e gli alberi stanno cadendo, uno dopo l’altro.
Nei 78 minuti del film si percepisce la stanchezza del vivere: non tanto dai segnali dell’apocalisse, tutti ignorati, quanto dalla mancanza di gioia nell’occasione di una vacanza al mare. Ognuno è rinchiuso a doppia mandata all’interno dei suoi bisogni: non c’è comunicazione, l’ironia sfocia nel sarcasmo e la fatica del vivere -pur in vacanza al mare, in una situazione astrattamente ideale- si fa strada tra accuse reciproche reiterate e un astio strisciante. E così la fine del mondo arriva per lasciare spazio e un tempo nuovo, in cui l’unica speranza sarà quella di riuscire finalmente a parlare, ed ascoltarsi senza timore.
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