Primo amore (Italia, 2004). Regia: Matteo Garrone. Interpreti principali: Michela Cescon, Vitaliano Trevisan, Roberto Comacchio, Alberto Re, Paolo Caoduro, Elvezia Allari, Antonella Mazzucato.

Nell’anonimato di un bar della stazione delle corriere un lui e una lei si sono dati un appuntamento al buio. Faticano a parlare, non fanno nulla per piacersi, il momento artificioso li imbarazza e li allontana. Eppure poco dopo si metteranno insieme e nel giro di qualche settimana andranno a convivere. Vittorio ha un laboratorio orafo con due lavoranti, ereditato dal padre, Sonia lavora in un negozio del commercio solidale e a tempo perso fa la modella di nudo, esponendo il suo piccolo corpo dalle proporzioni perfette agli sguardi degli allievi di una scuola di pittura. Vittorio è in cura da uno psichiatra perché affascinato dalla magrezza del corpo femminile. Sonia inizialmente asseconderà i desideri del suo uomo che le chiede di perdere peso, ma presto inizierà a scoprire che la sua è una vera ossessione da cui è sempre più difficile liberarsi.

Rivisto oggi, in morte di Vitaliano Trevisan, lo stesso film ha fatto emergere nuove riflessioni rispetto alla visione di 17 anni prima. All’epoca mi colpì soprattutto il bisogno di andare al cuore delle cose, rappresentato dall’azione di Vittorio che raschia i muri del laboratorio per recuperare l’oro che si è depositato durante anni e anni di lavorazioni: dava il senso di cosa fosse davvero importante, un ritorno alle origini, alla base, al punto di partenza, dopo un lungo percorso fatto di dispersione.
Al netto di ogni riflessione sull’anoressia, sulle relazioni tossiche, sullo sbilanciamento di potere all’interno della coppia, sulle dipendenze affettive, questa seconda visione mi ha fatto vedere anche una storia sul controllo. Il bisogno di tenere tutto all’interno di un ordine personale per poter dominare il mondo, dargli un senso che coincida con la nostra ottica e soddisfi aspettative irraggiungibili. Il suo mondo non può essere fuori controllo perché Vittorio non ce la farebbe a rimanerci dentro. Eppure un affare sbagliato gli fa perdere alcune commesse, e la pessima gestione dei suoi artigiani li fa allontanare verso altre occasioni professionali. Vittorio a quel punto vende tutto e si ritira in campagna con Sonia. L’amore che sembrava unirli improvvisamente perde ogni riferimento esterno: il lavoro di lei, gli amici, il fratello, la casa, tutto ruota esclusivamente attorno a Vittorio, il quale a sua volta intende costruire un mondo dalle coordinate ideali, una città della gioia sempre di là da venire, in cui il corpo e la testa sappiano procedere finalmente di pari passo.

Il lavoro, che in questo nord est spesso diventa l’unica religione in cui credere davvero, sacrificando sul suo altare affetti e famiglia, è un’altra parte della storia che non avevo notato. Perdere il lavoro significa perdere il proprio sostentamento; ma anche dignità personale, ruolo all’interno della propria comunità, riconoscibilità sociale. Perdere il lavoro è perdere la parte più importante di sé. Vittorio lo accetta senza problemi, anzi lo sceglie, ed è a quel punto che comincia a morire al mondo e di fronte a Sonia: rendendo il suo amore sterile di contrappassi, contaminazioni, confronti, consistenza, concordanza. Sparisce ogni “con” e resta, reificato nel corpo sempre più magro e più spento di Sonia, un traguardo ideale cui tendere, raggiunto il quale tutto sarà perfetto.
La vita come meta individuale, e non come percorso da fare insieme.
Lo si intuisce all’inizio, quando alcune inquadrature raccontano con pochi tratti che non è l’eros che interessa a Vittorio, quell’insieme di pensieri, sudore, intuizioni, calore, promesse, in una fusione alchemica di carne e passione, ma una sua personalissima idea di corpo. Mentre sta posando nell’atelier di pittura, la camera sezione il corpo di Sonia per frammenti, scorre via da seno e capezzolo per soffermarsi in un quadrato che contempla sterno, anca, ventre e ombelico. E mentre è a letto con il suo uomo, le dita di lui non scorrono piene di desiderio sugli infiniti punti erogeni che un corpo nudo può offrire, ma si soffermano sui dischi intervertebrali e sulle loro protrusioni con l’approccio di un anatomopatologo. Vittorio vorrebbe cesellare il corpo di Sonia come cesella i suoi monili d’oro, sempre più piccoli e sempre meno adatti al mercato.

E’ una pellicola con alcune ombre (il suono in presa diretta, metafore talora insistite) e molte gemme da scoprire, dalla direzione attori di Matteo Garrone, ancora agli inizi della carriera, alle musiche della Banda Osiris, alla fotografia, a due protagonisti eccezionali: Michela Cescon, attrice di valore assoluto capace di sfumature delicate e abissi espressivi indicibili; e Vitaliano Trevisan, artista poliedrico che nel personaggio di Vittorio ha inserito la propria intimità, camminando in equilibrio su una corda tesa, senza rete di sicurezza, senza vie d’uscita se non quella di mettere tutto se stesso dando vita a un personaggio indimenticabile.