“SDRAIATI”, parola evocativa che rimanda ad un tipico cliché di una fase della vita attesa e allo stesso tempo temuta: l’adolescenza
L’immagine appare vivida nella nostra mente: li immaginiamo allungati magari con un cellulare, la musica e i social a portata di mano, li immaginiamo silenziosi, come coloro che difficilmente si coinvolgono, che non amano essere disturbati, come coloro che guardando il mondo da un’altra prospettiva facilmente si scontrano con chi per contrapposizione chiamiamo “gli eretti”, gli adulti di riferimento.
È questo il tema del film “gli sdraiati”: la relazione tra un padre e un figlio adolescente in un’epoca che corre veloce, dove i ruoli, le fasi di vita e gli scenari famigliari sono in continua ristrutturazione.
La regista, Francesca Archibugi, si inspira all’omonimo romanzo di Michele Serra per raccontarci di Giorgio Salva (Claudio Bisio). Se da una parte Giorgio mostra abili qualità a livello lavorativo, essendo giornalista di successo, a livello relazionale la sua vita familiare è complessa: è separato dalla moglie e con suo figlio Tito di 17 anni fa fatica a comunicare e a farsi rispettare. Tito con la sua banda di amici si destreggia tra casa del padre e casa della madre, apparentemente gestendo a livello relazionale e materiale il rapportocon il padre
Emerge una relazione padre-figlio confusa, in cui i ruoli e i confini appaiono poco definiti.
Tutto ciò affiora con chiarezza nel dialogo tra Giorgio e Tito in seduta dallo psicoanalista di cui vi riporto un breve stralcio:
Psi:In che cosa si traduce questo non lasciarti campare? Tito: Sta appiccicato sul collo, qualsiasi cosa faccio mi dice come farla meglio e poi è un continuo, e chiudi, e spegni, e togli, e sposta, raccogli e mangia questo, e non mangiare quest’altro. Giorgio: fa tutt’uno con il non rispondere a telefono e dirmi se hai mangiato… Psi: Regole di convivenza. Perché non le rispetti? Tito: Sono troppe. Se io lascio uno yogurt a casa di mia madre, mia madre sai che fa? se lo mangia e basta! Psi: È la confusione delle doppie regole della doppia cosa. Vorresti una sola casa? Tito: Impossibile! Psi:E perché? Tito: Perché uno dei due si ammazza.
Da questo dialogo sembra essere chiara la difficoltà di Tito di compiere una scelta dettata esclusivamente dal suo sentire, quanto piuttosto dal suo timore che uno dei due genitori possa compiere un gesto sconsiderato. Tito si ritrova al centro, come perno di una bilancia che non è in equilibrio e mai lo sarà, poiché il compito di ristabilire l’equilibrio non è suo, ma della coppia genitoriale.
Sappiamo che dopo una separazione sebbene non si siapiù coppia, la funzione genitoriale continua. In questo caso la totale distanza e assenza di dialogo tra Giorgio e la sua ex-moglie si riflettono drasticamente nella relazione con Tito al punto che, da questa prospettiva, possiamo parlare di una sorta di inversione di ruoli: è Tito che, nonostante i suoi modi, si preoccupa per i suoi genitori e, assicurando loro la sua presenza, cerca di farli sentire importanti e amati allo stesso modo.
Poi c’è la relazione tra Giorgio e Tito. Tito ha tutte le caratteristiche di chi a quell’età si ribella, confligge, si chiude con chi prova ad imporre regole e invadere il suo mondo. Giorgio a sua volta sembra non avere molta consapevolezza della sua vita e del rapporto con suo figlio. Preso dal suo lavoro, dagli sbagli commessi nel passato, dalle sue ansie, dalle sue paure, dai sensi di colpa, cerca di trovare spazio nella vita e nella mente del figlio attraverso le sue tante domande e richieste. In tutto questo continuo rimarcare Giorgio si perde la possibilità di costruire una relazione basata anche solo sui silenzi, sulle emozioni non dette, sulla possibilità di accogliere quelle fragilità che Tito difficilmente mostra.
E quindi la domanda che possiamo porci è di cosa i figli di oggi hanno bisogno e in che modo Giorgio avrebbe potuto impostare la relazione con Tito.
Recalcati in un’intervista dice: “Oggi viviamo una nuova fase nella quale non ha più senso pensare di restaurare la funzione normativa, repressiva e disciplinare del pater familias. Si tratta allora di ripensare la paternità in un altro modo che io definisco “dai piedi”, ovvero non a partire dall’autorità della tradizione, dal timore che suscitava la parola paterna, bensìdalla testimonianza del padre.Il compito di un padre è certamente ancora oggi quello di introdurre la vita dei propri figli al trauma della legge del limite, ma anche quello di donare al figlio l’esperienza stessa del desiderio: un padre deve farsi testimone di come si possa stare al mondo pur non avendo l’ultima parola sul senso della vita – come pretendeva il pater familias– e dando un significato umano alla nostra presenza nel mondo”.
Se dunque da una parte Tito confliggeva con le tante regole e richieste di Giorgio, dall’altra lo stesso conflitto e lo stesso contrastare quella regola, quel limite diventa per Tito fondamentale. Il problema nella relazione con suo padre Giorgio era il suo continuo bisogno di essere rassicurato, rispettare quelle regole non voleva dire “vanno rispettate perché è questa la nostra regola di convivenza” ma “se le rispetti mi dimostri che mi vuoi bene”. Compito di Giorgio sarebbe stato quello di ricercare una più personale e intima stabilità emotiva al fine di essere saldo punto di riferimento per suo figlio, nei momenti di conflitto, di dialogo, così come nei momenti di chiusura e silenzio.
Massimo Recalcati, Evaporazione del padre testimonianza del desiderio, Intervista Corriere degli Italiani (http://www.corrieredegliitaliani.ch/sites/default/files/interviste/massimorecalcati.pdf)Massimo Recalcati (2011), Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina Editore.
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