“É spesso tragico constatare con quanta evidenza un uomo rovini la propria vita e quella degli altri, rimanendo tuttavia totalmente incapace di capire fino a che punto l’intera tragedia derivi da lui e da lui sia costantemente alimentata e coltivata. Non è certamente la sua parte conscia ad agire così: essa infatti si lamenta e impreca contro un mondo infido che si va sempre più distanziando. È piuttosto un fattore inconscio a tessere l’illusione che gli vela il mondo e sé stesso, fino a formare il bozzolo che lo avvolgerà infine completamente. Si potrebbe ora supporre che le proiezioni impossibili a risolversi, o che si possono risolvere soltanto con la massima difficoltà, appartengano proprio alla sfera dell’Ombra…” (Carl Gustav Jung, Aion, Opere vol. IX)

“The Wife – Vivere nell’ombra” (2017) Regia di Björn Runge.

Voglio iniziare così a parlarvi di questo film, interrogandomi con voi sui processi interiori che hanno accompagnato i coniugi Castleman durante la loro lunga relazione, e in particolare la protagonista Joan.
Il regista Björn Runge, rilegge il romanzo di Meg Wolitzer e ci regala un cast eccezionale primeggiato da una coppia magistrale: Glenn Close e Jonathan Price, la signora Joan e il signor Joe Castleman.
Il film li ritrae ormai avanti negli anni, in attesa, in particolare Joe, del premio Nobel per la letteratura. La telefonata arriva dall’Europa, svegliandoli all’alba. Quell’entusiasmo che inizialmente sembra coinvolgere entrambi ben presto, durante il lungo viaggio verso Stoccolma, si trasforma per Joan in distacco. La donna ripercorre, attraverso numerosi flashback, la loro storia e, in un crescendo di silenzi ed emozioni, decide di lasciare il marito e di rompere quel patto segreto che per quarant’anni aveva cementato il loro legame matrimoniale. Era stata lei a rendere reali e vivi i romanzi di quell’uomo, che grazie ad essi aveva ottenuto così tanto successo da essere proclamato addirittura vincitore del Nobel.
Questo era davvero troppo! Come era troppo essere ricordata nei ringraziamenti dal marito come semplice musa ispiratrice, oppure come la donna che lo avrebbe sostenuto durante il corso di questi lunghi e faticosi anni, senza mai cenno alcuno al suo reale contributo.
Era dunque pronta a lasciare quell’uomo, ma dopo una lite furente carica di rabbia e rancore, in cui gli aspetti lavorativi si frammentavano con ricordi di ripetuti tradimenti, qualcosa di irreparabile accadde.
All’uscita dalla sala cinematografica continuavano a risuonarmi le parole di Joan quando all’inizio della loro storia, spaventata dalla minaccia di Joe di volerla lasciare, gli disse: “Non lasciarmi, non posso vivere senza di te”. Così come, in modo più razionale, mi sono chiesta cosa li avesse spinti a non pubblicare i loro romanzi cofirmandoli.
La riposta a tale domande è da rintracciare in vari aspetti. Sicuramente nel periodo storico e culturale, così come nella fase, abbastanza delicata, della loro storia d’amore, ma soprattutto nelle caratteristiche delle loro personalità e nelle loro profonde paure, irrimediabilmente compensate nel loro rapporto di coppia solido, ma allo stesso tempo disfunzionale.
Mi sono chiesta, quindi, se davvero Joan avesse vissuto all’ombra di quest’uomo o se invece, forse anche solo inconsapevolmente, avesse scelto di farlo, come unica possibilità di dar vita al proprio desiderio o, ancora di più, di “esistere”.
Erano gli anni cinquanta quando Joan conobbe Joe. Lui era un professore affascinante e sicuro di sé, lei una studentessa timida e riservata che frequentava il suo corso di scrittura creativa. Due personalità e due storie di vita profondamente diverse, ma un unico interesse: l’amore per i libri e la scrittura. Si innamorarono e quell’amore rivoluzionò le loro vite. Joe lasciò sua moglie e sua figlia, perdendo anche l’incarico come insegnante; Joan da semplice studentessa lasciò il college per inseguire il loro amore.
Per Joe era il momento, per desiderio ed esigenze economiche, di mettersi alla prova e scrivere il suo primo romanzo, ma, nonostante volesse ardentemente diventare uno scrittore, non aveva il talento naturale per farlo. Joan sì, lei sì che ne aveva. E così fecero un tacito patto: Joe buttava giù la trama e Joan dava profondità e spessore ai personaggi. Tale silente intesa si rivelò vincente. Il loro primo romanzo “La noce” ebbe molto successo, permettendogli di costruire la loro vita insieme, la loro famiglia, ma anche di entrare in un vortice di segreti e bugie al quale fu difficile sottrarsi.
A Joan risuonavano perentorie le parole della scrittrice Elaine Mozell la quale le disse: “Non lo faccia, non otterrà mai la loro attenzione”. Gli anni cinquanta erano anni in cui c’era ancora una profonda chiusura verso l’affermarsi a livello lavorativo delle donne, ma erano anche gli anni in cui molte combattevano la loro battaglia. Joan, però, non si sentiva combattiva e la sua indole piuttosto timida la indusse a preferire di rimanere nell’ombra. Rispondendo alla richiesta di aiuto di Joe, l’uomo che amava ed ammirava profondamente, non rinunciò alla sua inclinazione, ma decise di scrivere per lui. Solo con il tempo divenne consapevole dell’inganno, o meglio dell’autoinganno in cui si era posta. Ogni volta che provava a tornare sui suoi passi rimaneva bloccata dalla paura di perderlo, mista a quella di non avere possibilità di scrivere da sola.
E poi c’era Joe, lei lo conosceva bene, apparentemente forte e sicuro di sé, ma in realtà profondamente fragile. Chissà come avrebbe reagito di fronte alla frustrazione di un fallimento!
Il loro legame fu un incastro perfetto: entrambi trovarono la strada giusta da percorrere, seppur ingannevole.
Sarebbe stato fondamentale per entrambi affrontare le proprie paure, il loro lato oscuro, la loro Ombra, come dice Jung, poiché solo in questo modo avrebbero avuto accesso ad una maggiore conoscenza di se stessi e ad una maggiore integrità, anche se difficile e dolorosa. Ma la loro integrità era rappresentata dal loro legame e dalla presenza e dalle caratteristiche compensatorie dell’altro: insieme diventavano una persona unica e speciale.
A livello tecnico possiamo dire che Joan all’interno della coppia divenne colei che nel “ruolo della salvatrice” protesse, come un genitore accudente, Joe da un doloroso fallimento e al contempo proiettò su di lui aspetti idealizzati di sé che lei era incapace di esprimere.
Continuando a guardare Joe come un “dio” e negandosi la possibilità di farsi “riconoscere” nei vari successi raggiunti, continuò a negare se stessa e, a poco a poco, inevitabilmente, a distaccarsi da quell’uomo che “travestito” di ascendente e potere continuava ad appropriarsi delle sue capacità.
Joan lasciò nell’ombra così anche la sua aggressività: essa fu per anni taciuta, trasferita nei personaggi dei romanzi che portarono suo marito al successo, ma mai usata in modo costruttivo per riprendersi la propria vita, con o senza Joe. Se non quell’ultima sera.
Quel viaggio a Stoccolma era stato fondamentale per guardare con maggiore disincanto quell’uomo, ma le cose non andarono come le aveva immaginate o forse inconsciamente sì.