Regalo di Natale (Italia, 1986). Regia: Pupi Avati. Interpreti principali: Diego Abatantuono, Carlo Delle Piane, Gianni Cavina, Alessandro Haber, George Eastman.
Un uomo siede al tavolo del ristorante di una stazione, un luogo triste e impersonale. Una donna ha finito di cenare qualche tavolo più in là, ma il suo commensale ha preso un treno ed è rimasta da sola. Dopo averla osservata a lungo l’uomo si alza, si avvicina alla donna e le chiede se è una prostituta. “No, mi dispiace” risponde lei. “Peccato, penso che solo in quel caso avrei avuto una possibilità”, conclude lui prima di andarsene.
Lo stesso uomo, incapace di relazionarsi con un altro essere umano se non utilizzando la mediazione del denaro, e quindi del potere, siederà poco più tardi a un tavolo da poker con altri quattro uomini: in quello spazio ben definito, all’interno di un rito con regole altrettanto precise, saprà giocare un ruolo che con la donna era stato incapace anche solo di intuire. Si muoverà con precisione, un’eleganza del gesto ora appariscente ora dimessa, in una dimensione che gli appartiene perché quello, e non altro, è il suo mondo, e non ammette distrazioni.
Lele è un critico cinematografico di scarso successo, Ugo un televenditore che la notte di Natale preferisce le carte ai suoi quattro figli, e Stefano gestisce una palestra. Tempo prima Ugo aveva rubato a Franco l’unica donna che lui avesse amato, rompendo così una vecchia amicizia, e questa è l’occasione per riparare al quel misfatto; Franco, in apparenza, è l’unico dei quattro in grado di contrastare economicamente l’avvocato e Ugo gli ha apparecchiato questa occasione per avere il suo perdono.

Il tavolo verde viene allestito nel salone della villa dell’amante di Stefano, e allo scoccare della mezzanotte i cinque uomini, dopo aver definito le regole d’ingaggio, iniziano la partita. Pupi Avati si disinteressa dei movimenti di macchina se non per qualche carrellata alle spalle dei giocatori, luci e scenografia appaiono disadorne. Il cuore del film si trova nelle relazioni tra i cinque uomini: ognuno ha un suo ruolo, e lo incarna con la disperazione di chi non ha alternative. La brama di denaro, che dovrebbe piovere nelle tasche del vincitore grazie al presunto “pollo”, è il paravento dietro il quale si apre un mondo di relazioni fallite: uomini incapaci di amare, che considerano la donna solo un oggetto da rubare o farsi soffiare; o uno spiacevole impiccio cui mentire per non raccontare di questa partita; o esseri assenti in quanto lontane da mondi che non ammettono distrazioni. Donne come convitate di pietra e allo stesso tempo motori immobili della tragedia che sta per compiersi. Escluse da un mondo prettamente maschile (come la caccia, il barbecue o l’autotrasporto), un mondo con regole di gioco rigorose ma che contemplano anche eccezioni ben precise, ortodosse (il bluff) o illecite (il baro). Un mondo che non prevede la sfumatura, l’ironia, la digressione, la distrazione. Un mondo autoreferenziale privo di infiltrazioni, dove anche l’emotività è al servizio del risultato.
Come molti altri registi, che con il tempo hanno scelto di abbandonare gli orpelli narrativi e andare al cuore della storia, anche Pupi Avati spoglia l’amicizia di ogni sentimento per ridurla a pura trama di potere. Così, nella notte che più di ogni altra dovrebbe favorire pensieri d’amore o almeno di accoglienza e riconoscenza, si consuma un dramma a lungo preparato. Ci sono film che segnano un’epoca, forse perché sono stati visti a 20 anni, e in quel tempo di formazione e creazione di una struttura adulta hanno saputo rivelare (con una scena, un gesto, una frase o anche solo un’atmosfera) ciò che fino a quel momento era sconosciuto. Pupi Avati, che l’anno prima aveva disegnato con “Impiegati” la miseria umana che fa da sfondo a tanti ambienti di lavoro, avvelenandone la quotidianità, non sarebbe più stato così chirurgico e sarebbe tornato a dedicarsi alle piccole storie a lui tanto care.
Dopo una lunga carriera di ruoli minori, per il suo personaggio dell’avvocato Carlo Delle Piane vinse la Coppa Volpi a Venezia, premio che sembrava invece destinato a Walter Chiari per “Romance”.

Mentre il personaggio giocato da Delle Piane non riusciva ad emanciparsi dall’uomo che sullo schermo doveva rappresentare in quella notte di Natale, l’attore usciva invece dal bozzolo in cui tanti registi lo avevano imprigionato e si liberava di anni e anni da caratterista per mostrare un altro volto. Uno sguardo alto, sfrontato, una trasformazione che solo l’occasione di un regista coraggioso aveva potuto regalargli.
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