Jean-Paul Sartre scrive nel 1944: “Il vero inferno sono gli altri”.
Stare in contatto con gli altri è una delle esperienze fondamentali di tutti gli esseri umani, starci bene e in armonia forse una delle fonti di maggiore felicità. Il guaio è che però non sempre gli altri sono per noi fonte di gratificazione, molto spesso assumono ruoli differenti, slegati dalla relazione, e allora, di volta in volta, possono essere il nostro pubblico, le persone che ci ammirano per quello che facciamo o diciamo, i fans, oggi anche follower. E così diventano persone che non possiamo deludere perché con grande facilità si trasformano nei nostri persecutori, giudici in toga che in ogni istante valutano il nostro corpo, il nostro modo di vestire e agire, quello che diciamo e facciamo quotidianamente. Il loro sguardo ci pietrifica in un ruolo precostituito, costringendoci ad indossare continuamente una maschera, talmente ben saldata al nostro viso che non riusciamo a toglierla nemmeno quando siamo soli nella nostra camera.
Quello che sto descrivendo è “l’inferno” che accade nella testa di Michael Stone, il protagonista di questo bellissimo film girato interamente con la tecnica di animazione Stop Motion. Noi spettatori lo incontriamo, per la prima volta, in aereo diretto a Cincinnati dove sarà relatore in una conferenza sul servizio clienti aziendale (il famoso customer service). Lo seguiamo dall’atterraggio dell’aereo, in taxi fino all’albergo di lusso e al 10 piano della sua suite. E così scopriamo che è un uomo di successo, autore di un libro motivazionale dal titolo: “How May I Help You Help Them?” (Come posso aiutarvi ad aiutarli?), sposato, con un figlio molto viziato. È triste, annoiato e soprattutto interagisce a fatica con le persone che incontra.
Subito ci colpisce un particolare, sembra che nella sua mente le persone siano tutte uguali: stesso viso, stesse espressioni facciali, quasi indifferenziati sessualmente e tutti (maschi e femmine) con la stessa voce, maschile, fredda, monotona. È lui che li vede così o sono gli altri ad essere tutti identici? Forse questa domanda non è importante perché quello che conta è che se Michael vede le persone tutte uguali, indifferenziate, è chiaro che non può avere nessun desiderio, nessuna voglia di entrare in contatto profondo con loro, semmai può solo utilizzarle per il proprio piacere personale, narcisistico, per brama di potere o per combattere la noia e la tristezza.
Poi succede che guardandosi allo specchio (così come nelle migliori tradizioni fiabesche) ha una crisi di identità, ha paura, anzi è terrorizzato, esce nel corridoio dell’albergo in cerca di qualcuno, forse di un se stesso più vero di quello che vede allo specchio ed è grazie a questa spinta di terrore che incontra Lisa, una donna bruttina, umile, una delle persone che il giorno dopo avrebbe fatto parte del suo pubblico alla conferenza. Lisa però è diversa, ha una “anomalia” una cicatrice, un difetto che diventa la porta di accesso a qualcosa di originale, di vero. Infatti Lisa non ha la maschera uguale agli altri, ha una voce incantevole, che seduce. In realtà più che sedurlo lo aiuta a calmarsi, a rientrare dalla crisi che lo aveva invaso e così Michael la corteggia.
C’è una speranza in questo incontro, perché l’uomo nasce con la tendenza a liberarsi dalle catene sociali, dalle maschere che indossa quotidianamente, alla ricerca di una persona da amare, profondamente, una persona originale, unica, che lo faccia sentire se stesso, amato a sua volta, e non un personaggio uscito da una catena di montaggio. La sfida però è riuscire ad avere il coraggio di andare oltre, di liberarsi da queste maschere, di entrare in contatto con la parte più vera di sé. Michael sembra un Dante moderno perduto nella “selva oscura” in cerca della sua Beatrice. Riuscirà in questa impresa che è quella alla quale sono chiamati tutti gli essere umani?
Chiudo con una nota sulla tecnica di realizzazione del film, ovvero la Stop Motion che è, come è noto, una tecnica di animazione che usa, in alternativa al disegno eseguito a mano o al computer, oggetti reali, creati con la plastilina, mossi progressivamente e fotografati a ogni movimento successivo: esattamente come accade nel cinema con gli esseri umani. La Stop Motion, a mio avviso, descrive pienamente il vissuto nel quale è immerso il nostro protagonista, una dimensione a metà tra finzione e realtà, tra l’essere e il non essere, che riproduce bene l’atmosfera intimistica nella quale sono immersi i personaggi.
Guardando il film mi sono reso conto che questa storia poteva essere raccontata solo in questo modo.
Buona visione…
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