Scano Boa (Italia, 1961). Regia: Renato Dall’ara. Interpreti principali: Carla Gravina, José Suárez, Gianfranco Penzo, Emma Penella, Alain Cuny, Lucia Avanzi, José Jaspe, Giulio Calì, Giuliana Carraneri, Ugo Novello

“L’esattezza geografica non è che un’illusione. Il Delta Padano, per esempio, non esiste.
Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per Scano Boa. Io lo so, ci sono vissuto”. 

Gian Antonio Cibotto

Scano boa è una spiaggia sul delta del Po, raggiungibile solo dal mare. E’ l’ultima lingua di terra che separa il fiume dall’Adriatico, piccolo paradiso discreto per birdwatchers, canoisti e amanti della solitudine, senza acqua corrente o energia elettrica. Un eremo umido e disabitato, questo oggi il suo carattere. Una volta invece era la base dei pescatori per la caccia allo storione: un universo povero, superstizioso, dedito alla pesca come unica fonte di sostentamento, con l’uomo in sintonia con il fiume, le sue stagioni, i frutti che poteva offrire o negare.
Una piccola comunità di pescatori che vive su questa lingua di terra in baracche costruite con le canne è quella che raggiungono Clara e suo padre, in cerca di fortuna, dopo aver acquistato una barca al mercato del pesce di Chioggia.

Ma i due vengono accolti con freddezza: non c’è posto per tutti e il pesce è poco. La freddezza diventa aperta ostilità quando i nuovi arrivati vengono accusati di portare sfortuna perché la stagione degli storioni tarda ad arrivare e le barche rientrano vuote dalla giornata in mare.

Le relazioni sono basate sul sospetto e sulla violenza, la solidarietà non emerge, e malgrado la penuria di risorse ognuno pensa a sé.

Un giorno, mentre il padre è in mare, Clara viene stuprata da Baroncello, un giovane arrogante e sbruffone, ma terrà nascosta la gravidanza al padre e a tutta la comunità.

Tratto da un romanzo dello scrittore polesano G. A. Cibotto, che ben conosceva quella realtà, e tradotto per il grande schermo da sei sceneggiatori (tra cui Tullio Pinelli e Rodolfo Sonego), è un film minore di un regista minore che racconta la vita agra in un microcosmo circoscritto del nord. Se escludiamo Ermanno Olmi, è soprattutto al sud che è stata raccontata la durezza del vivere, il peso della fatica, il lavoro come travaglio, anche linguistico.
Un’Italia periferica, conosciuta solo da chi la abita, eppure capace di racconti straordinari. Al netto degli scivoloni narrativi e del bozzettismo dei personaggi, delle ingenuità dei titoli di testa (in cui volteggiano nell’acqua storioni meccanici ideati da Carlo Rambaldi) e dell’improbabile lieto fine, il film disegna un racconto capace di coniugare uno sviluppo narrativo a un quadro d’ambiente circostanziato e fedele ed è capace di offrire spunti di riflessione su più elementi.

Il principale è forse l’idea di comunità chiusa, incapace di osmosi con l’esterno (solo il prete arriva la domenica in barca per dire messa) e pertanto orientata a ripercorrere le stesse abitudini. Il modello relazionale predominante sono i rapporti di forza, dialogo e confronto lasciano spazio al conflitto come strumento di definizione dei ruoli.

In questa ristrettezza umana ed esistenziale il padre di Clara, che ha investito il suo patrimonio e le sue speranze sulla barca che avrebbe dovuto garantirgli un futuro di benessere, non trova alternativa all’insistere nella ricerca di una fortuna che non vuole arrivare. Clara, che sognava la grande città, si ritrova a sua volta confinata in un microcosmo cupo e arrogante in cui la natura, pur affascinante, emerge in tutta la sua potenza. Né matrigna come per Leopardi, né accogliente come per Pascoli, né dominata dall’uomo come per la tradizione giudaico-cristiana, appare semplicemente indifferente, regolata dai suoi meccanismi, spesso insondabili, di fronte ai quali i pescatori sono solo piccoli ingranaggi su piccole imbarcazioni.

Scano boa è il nostro villaggio minerario del Klondike, un avamposto dove gli uomini e le donne vivevano, lavoravano, amavano e odiavano, litigavano e morivano, prima che la scomparsa dell’unica fonte di sostentamento li spingesse ad approdare ad altri lidi e altre vite. A sessant’anni di distanza, resta un casone in canne e paglia dato più volte alle fiamme, figli e nipoti di quei pescatori che organizzano gita di un giorno per turisti slow, e sullo sfondo una centrale termoelettrica dismessa che qualcuno si pensa di riconvertire in villaggio turistico avveniristico.

Il film è da poco disponibile su youtube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=k1tqvYnZ5Fo