Soni (India, 2018). Regia: Ivan Ayr. Interrpeti principali: Geetika Vidya Ohlyan, Saloni Batra, Vikas Shukla, Mohit Chauhan, Kalpana Jha, Simrat Kaur, Prateek Pachori

Come accade di frequente, la breve sinossi riportata dalla piattaforma per descrivere il film e convincere lo spettatore a guardarlo lavora con l’accetta delle etichette e la clava dell’attualità. Esempio: “A Delhi un’agente irascibile e la sua disciplinata responsabile combattono la violenza contro le donne mentre nella vita privata affrontano discriminazioni di genere”. Ma fortunatamente il film che decidiamo di vedere malgrado la sua presentazione, supera la cornice angusta e corriva che lo ha definito e racconta una vicenda lontana da Bollywood e prossima a un’idea di cinema che mescola dramma e sociale, privato e carriera.

Soni è una poliziotta il cui servizio consiste nel fare da esca per stanare maschi molestatori. Ma il suo temperamento spesso la spinge oltre i doveri che le impone il ruolo, e così a volte le capita di reagire con violenza di fronte alle ingiustizie. Il suo appartamento è frugale, la sua vita quasi monacale: solo una vicina le fa visita di tanto in tanto, cercando di smussarne gli angoli attraverso suggerimenti non richiesti. Kalpana è la sua superiore: decisa, direttiva, sa coordinare con mano ferma la sua squadra ed è riuscita a costruirsi un privato con una bella casa, un compagno che sta facendo carriera nelle forze dell’ordine, una famiglia allargata e nessun desiderio di maternità.

Sullo sfondo le notti, per una volta fredde, della capitale indiana, in cui a una donna sola non è concesso muoversi liberamente se non a rischio della propria incolumità. Kalpana ammira in qualche modo la rabbia di Soni nel compiere il suo dovere, ma non può non metterla in guardia dalle conseguenze delle sue reazioni violente. Soni si rende conto che la sua diretta superiore ha ragione, che così facendo sta mettendo a rischio la propria carriera: allora promette che non riuscirà a controllarsi, ma poi invariabilmente si ritrova a scontrarsi con molestatori e cocainomani fino a quando non pesta il piede sbagliato.

Due donne a guidare una squadra antistupro potrebbero sembrare l’avamposto di un Paese che si sta finalmente scrollando di dosso una secolare cultura di dominazione nei confronti del genere femminile. E il loro mansueto attendente, mandato durante le pause del turno di notte a comprare un panino o a rifornirle di tè, sembrerebbe confermare il loro potere. E invece la cultura della famiglia ribalta l’apparente passo avanti fatto sul lavoro: il compagno di Kalpana le ripete, con fare paternalistico, che è stata troppo tenera con la sua collaboratrice e per colpa della sua indole empatica non riuscirà mai a fare carriera: perché sul lavoro non c’è spazio per i sentimenti. Mentre l’ex marito di Soni, reo di un tradimento che lei non è riuscita a superare, continua a strisciare umile sotto la casa di lei, cercando di riconquistarne la fiducia.

C’è una frattura per entrambe: tra il ruolo pubblico, un ambito in cui cercano di far rispettare la legge, ciascuna con le modalità che la propria personalità consente di esprimere. E quello privato, dove il potere del ruolo evapora e riappare -socialmente, all’interno della famiglia, addirittura tra vicini e parenti- il gravame dell’essere nata donna. Che ha bisogno di un marito che la tuteli, che non può far valere sul lavoro attitudini di empatia e comprensione, che deve mandare avanti una casa perché nessun altro può o vuole farlo al posto suo. Anche la sorellanza, quella comprensione che spesso fa sì che una donna comprenda le difficoltà dell’altra, viene meno, sotto la cappa opprimente di un maschio che tutto sa, decide, agisce, senza accettare di essere messo in discussione.

Attraverso il percorso di carriera al quale le sue intemperanze la costringeranno, Soni troverà il modo di affrancarsi da un passato indigesto e una rabbia mai elaborata fino in fondo ma contrastata di volta in volta con reazioni fini a se stesse. In ciò che accade troverà il senso che fino allora non aveva saputo vedere, provando così a costruire un nuovo modo di guardare la sua vita e il suo lavoro.