Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà.” Ma il Signore gli disse: “Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte”. Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. (Genesi 4, 13-15)

Sons of Cain – I figli di Caino si muove su diversi livelli, strati narrativi, che la regista Keti Stamo ha sapientemente assemblato fino a costruire una vera e propria magia, un bellissimo racconto gruppale dove i protagonisti sono i bambini con i loro sogni condivisi.

Il film è ambientato in un piccolo villaggio dell’Albania settentrionale, dove ancora è dominante la tradizione dei padri, una legge che regola i comportamenti sociali, il Kanun, divisa in dodici libri. Ogni libro regola la sfera della vita individuale e collettiva, dal matrimonio, alla proprietà della terra, all’onore, alla faida, all’ospitalità, alla reciprocità, ecc.

Il Kanun è un insieme di regole secolari. È stato trasmesso oralmente di generazione in generazione fino al 1913, quando il francescano Sh. Gjecovi lo raccolse e lo trascrisse. Purtroppo è stato distorto lo spirito sapiente di quelle regole, favorito probabilmente dal vuoto giuridico di quei luoghi.

Ancora oggi, infatti, in quelle comunità, se una persona commette un omicidio si crea una faida con la famiglia della vittima, che per ristabilire l’ordine sociale vuole il sangue di uno dei familiari dell’assassino. Le famiglie sono costrette a vivere rinchiuse nelle proprie case che per il Kanun sono luoghi sacri, inaccessibili agli altri. Purtroppo, in questa faida sono coinvolti anche le donne e i bambini, intoccabili per il Kanun, che spesso sono costretti a condividere questo trauma con la propria famiglia.

Alla base di queste faide troviamo la Besa, l’onore personale; perdonare è un segno di debolezza verso l’intera comunità.

Keti Stamo, attraverso una ONG (No Blood Feud Yes to Life) che raccoglie i bambini vittime di queste faide e li porta fuori casa, a scuola, per farli studiare e comunque svagare dalla oppressione di una infanzia trascorsa dentro le mura delle loro case, ci consegna la magia dell’infanzia, e lo fa attraverso il “sogno condiviso” un’antichissima tecnica che consentiva alle comunità primitive di rompere lo schema rigido del pensiero razionale, adulto, verso una dimensione creativa, dove tutto è possibile, anche il perdono. 

I bambini, in cerchio, discutono di Caino e della sua sorte, della scelta di Dio di non ucciderlo, ma di allontanarlo con la promessa che nessuno gli avrebbe fatto del male. Una bambina dice che se Dio avesse ucciso Caino i genitori avrebbero avuto un doppio lutto, nessuna ricompensa per la morte di Abele, nessuna giustizia. Caino è figlio e fratello, anche se assassino.

È un pensiero nuovo, che rompe lo schema della legge del taglione, del “sangue per sangue”. Esattamente come ci racconta nel film la stessa Elona Prroj, una giovane pastora del nord. Suo marito era stato ucciso a causa di una faida. Questa giovane donna aveva deciso di andare contro un’intera logica canonica e patriarcale e di dichiarare il Perdono del Sangue. Lo rivelano le sue parole quando parla di Cristo, che grazie al suo sacrificio ha distrutto la morte, ha spezzato la legge dell’Antico Testamento, proponendo un unico comandamento, quello dell’amore per il nemico. Se ci pensate un comandamento impossibile a noi umani; solo in Cristo o nella semplicità di un bambino può essere attuato. 

La regista è laureata in psicologia e si vede benissimo nel film la sensibilità con la quale tratta un tema così importante. Si vede nelle immagini, che sono delle vere e proprie associazioni mentali, nel racconto non lineare eppure profondamente coerente, nel viaggio nella profondità dall’animo individuale e collettivo. In questo film, a mio avviso, ha saputo svelare la profonda funzione dell’arte che è anche quella dei sogni, ovvero restituire al mondo un “uomo nuovo” che può essere colto solo dagli occhi visionari di un bambino.

Vorrei chiudere con una bellissima strofa che mi è tornata in mente vedendo il film, è tratta dal Testamento di Tito di Fabrizio De Andrè, quando dopo aver raccontato, uno ad uno, i 10 Comandamenti con tutte le sue contraddizioni, al calar della sera, si ferma e canta, quasi sottovoce: 

Ma adesso che viene la sera ed il buio
Mi toglie il dolore dagli occhi
E scivola il sole al di là delle dune
A violentare altre notti
Io nel vedere quest’uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l’amore