“Non c’è mai fine” alla malvagità

Quando un regista riesce a toccare le corde più profonde dell’animo umano, creando un’atmosfera inquietante che induce a riflettere sul lato oscuro della natura umana, spesso emerge una certa somiglianza con il lavoro di altri autori. In questo contesto, è interessante notare come il regista di “Speak No Evil” riesca a condividere con Yorgos Lanthimos una capacità straordinaria nel trovare un punto d’accesso all’interno di ciascuno di noi al fine di scuoterci profondamente. Entrambi, pur utilizzando stili e contesti differenti, sono in grado di suscitare una intensa inquietudine.

Una colonna sonora disturbante risuona sulle immagini di un bellissimo paesaggio nostrano, instillando immediatamente un senso di terrore. Bjørn e Louise, una coppia danese, sono in vacanza nelle campagne toscane insieme alla figlia Agnes. La tranquillità del loro viaggio viene spezzata dall’incontro con una famiglia olandese composta da Patrick, sua moglie Karin e il figlio Abel, che, per qualche motivo, non può parlare. Il rapporto tra le famiglie diventa sempre più stretto, fino a quando i danesi accettano l’invito dei nuovi amici a trascorrere del tempo con loro nei Paesi Bassi. Tuttavia, mentre si immergono nel mondo della famiglia olandese, dovranno fare i conti con comportamenti strani e misteriosi da parte dei loro ospitanti. 

Ciò che rende il film particolare è la sua abilità nel distruggere un equilibrio monotono. Questo sconvolgimento è causato sia dal carnefice (Patrick), che, in un certo senso, dalla vittima stessa (Bjørn), segretamente desiderosa di un cambiamento sostanziale nella sua esistenza. Quest’ultimo, chiaramente identificabile come protagonista in evoluzione, cattura particolarmente l’attenzione. Nel corso del film, lo vediamo passare da una figura timida a un individuo desideroso di abbracciare una nuova identità, ma le circostanze glielo impediscono, creando una tensione palpabile.

Bjørn trova spazio per iniziare il suo percorso di trasformazione, cercando di liberarsi dai vincoli e dal peso dell’autocontrollo, grazie ad una presenza con caratteristiche opposte alle sue e che sembra incarnare il fascino del male. In quei momenti di rivelazione, il protagonista esplora le proprie passioni e sembra trovare un certo benessere fisico e mentale.

Prima che Bjørn, guidato da Patrick, esprima liberatori urli di sfogo, il suo amico gli fa ascoltare una canzone olandese intitolata “Non c’è mai fine”. Questo brano sembra sottolineare l’incapacità di soddisfare completamente i desideri, in modo simile al ciclo inarrestabile di violenza compiuto dalla coppia, che non trova mai una soddisfazione definitiva. Tuttavia, il messaggio trasmesso a Bjørn sembra avere un significato più ampio: una volta liberate le passioni, l’appagamento completo rimarrà sempre un obiettivo irraggiungibile, aprendo la strada a una profonda riflessione sulla natura della malvagità.

La tendenza a uccidere può essere vista come l’istinto di causare danni o morte a un altro individuo. Questa inclinazione può originare da diverse motivazioni, tra cui la brama di potere, la sete di vendetta, la rabbia, o persino una sorta di godimento derivante dal dominio sulla vita e la morte degli altri. In un contesto di malvagità, la spinta a uccidere può essere alimentata dalla ricerca della propria soddisfazione o gratificazione a spese degli altri, senza alcun accenno di pentimento o empatia.

Per quanto riguarda la ripetizione, si riferisce alla tendenza di un individuo a eseguire azioni simili o identiche in modo ciclico. Nell’ambito della malvagità, questa ricorrenza può essere associata al piacere sadico che deriva dalla commissione di azioni malvage o violente. L’individuo può sentirsi spinto a replicare tali azioni per rivivere la sensazione di potere e controllo.

In un contesto come quello del film, Patrick e sua moglie potrebbero rappresentare individui in cui la pulsione ad uccidere e la ripetizione costituiscono elementi centrali della loro malvagità. Piuttosto che inclinarsi verso l’autodistruzione, sembra che la mancanza di soddisfazione completa alimenti la loro incessante volontà di ripetere atti malvagi. Questo può essere interpretato come una manifestazione della loro malvagità intrinseca, poiché cercano gratificazione e piacere a spese degli altri, senza alcun segno di rimorso.

Nel film ci sono dettagli tecnici sorprendenti che contribuiscono a creare un’atmosfera intensamente tesa. In particolare, la colonna sonora svolge un ruolo cruciale. Le tracce musicali, con la loro natura inquietante generano una crescente sensazione di apprensione anche durante lo svolgimento di azioni abituali.

La fotografia del film è nitida e ad alto contrasto, con l’uso di luci intense dai toni gialli, arancioni e rossi. Questa scelta cromatica dona una sensazione di pericolo imminente, eppure la genialità del regista sta nel fatto che è quasi impossibile individuare esattamente cosa renda ogni momento così dolorosamente teso. Questi dettagli tecnici, combinati tra loro, costruiscono una tensione palpabile che sottolinea la malvagità dei personaggi.

Nonostante molte teorie abbiano cercato di svelare le motivazioni della malvagità umana, questa persiste nel suo enigma. Il film “Speak No Evil” ci trascina nell’oscurità delle psicologie dei suoi personaggi, e mentre esploriamo le profondità della loro malvagità, continuiamo a interrogarci. Come spettatori, rimaniamo avvolti nel mistero, consapevoli che, nonostante tutti gli sforzi a restituirci un perché, la malvagità umana continua a sfuggire alla nostra comprensione.