Squid game (il gioco del calamaro) è una serie televisiva coreana al primo posto da diverse settimane su Netflix.
La trama è molto semplice. Persone disperate, reietti della società, vengono reclutate, in modo consenziente, e portate in un luogo misterioso dove sono obbligate a giocare per vincere un montepremi che aumenta sempre di più mano a mano che i concorrenti vengono eliminati. Una specie di Lager super-colorato dove guardiani mascherati e giocatori con divise numerate convivono per diversi giorni, tutti dominati da un’entità misteriosa, potente e invisibile che orchestra dall’alto ciò che accade.
La serie viene proposta in lingua originale, che mio avviso dà valore al prodotto: è sempre molto interessante poter seguire i dialoghi nella lingua ufficiale degli attori e nel contesto culturale di un determinato luogo.
Ad oggi è stata vista, almeno per qualche minuto o puntata, da oltre 130milioni di persone con un ricavo di circa 900milioni di dollari, senza tenere in considerazione i ricavi che arriveranno dai gadget, video giochi e molto altro. Insomma, un successo mondiale!
Da recenti dati si vede chiaramente che Squid Game piace tantissimo ai ragazzi, anche abbastanza piccoli, nonostante ci sia il divieto ai minori di 14 anni.
Ma quali sono gli ingredienti di successo di questa serie?
Intanto direi che è ben diretta, gli attori sono molto bravi e lo scenario (la scenografia) è veramente particolare e bella.
Ci sono molti riferimenti e citazioni a grandi film di successo, primo tra tutti a “2001 Odissea nello spazio” e “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick. Le inquadrature sempre molto simmetriche, scenografie pop, coloratissime e poi la grande citazione a “2001 Odissea nello spazio” attraverso il brano classico: “Danubio blu” di Johann Strauss utilizzata per indicare ai concorrenti l’inizio di un nuovo gioco.
Ma il successo maggiore è dato sicuramente dalla struttura e dalla trama.
È organizzata come un vero e proprio video gioco, dove succede qualcosa che non dovrebbe accadere nei giochi dei bambini: chi perde muore!
E adesso quello che proprio non va bene…
E qui entriamo nella critica, nel rischio di emulazione, nell’accostamento, nemmeno troppo sottile, tra gioco, competizione e morte. Un modello che forse, nelle intenzioni degli ideatori, voleva raccontare una società moderna tutta orientata al guadagno, ai soldi, al potere, dove non c’è più spazio per l’altro, soprattutto se povero e bisognoso di aiuto.
Una critica al capitalismo che risucchia tutto, alla condizione delle persone disperate, ma anche una riflessione su cosa succede quando le persone si ritrovano a vivere in una situazione estrema, dove è in gioco la propria vita.
Una buona intenzione se non fosse che tutto è strutturato per attrarre il maggior numero di pubblico possibile.
Il rischio evidente è che l’accostamento tra giochi infantili, come “Un, due, tre … stella”, il gioco delle biglie, le forme di caramello e molto altro rompe lo schema classico della sconfitta come momento di presa in giro, competizione per chi è più abile in un certo gioco, gioco come divertimento, alleanze e avversari, non c’è più la penitenza, la perdita di figurine o biglie.
Trasporta la dimensione ludica in quella dimensione virtuale dei video giochi, dove si perdono le vite.
Ho letto che molti insegnanti stanno notando che bambini anche molto piccoli, quando giocano eliminano chi perde simulando un colpo di pistola alle tempie.
I bambini, ma direi senza alcun dubbio anche i giovani adolescenti non hanno ancora le strutture mentali per poter seguire una trama così violenta, non possono integrare quelle immagini in una dimensione di finzione senza trovarsi coinvolti in quella stessa violenza, spesso fine a se stessa, con il rischio di agirla piuttosto che elaborarla.
Il mio primo consiglio è quello, intanto, di rispettare il divieto di visione ai minori di 14 anni, e poi di vedere la serie, con i ragazzi più grandi, insieme ai genitori che possono fare da filtro a certe immagini o sequenze. Potrebbe essere argomento di discussione, riflessione, provando soprattutto a dare senso, contestualizzare la storia, sebbene sia molto difficile con Squid Game.
E qui entriamo al secondo punto di critica. La storia del cinema è costellata di film violenti; molti grandi cineasti hanno raccontato questa dimensione con immagini potenti, forse molto più crude e cruente di Squid Game. Mi viene in mente Tarantino, ma anche i fratelli Coen, per non parlare di Kubrick, di Cronenberg, David Lynch, Lars von Trier, giusto per citarne solo alcuni. La lista sarebbe lunghissima.
Intanto vale sempre la regola che esiste un’età per la visione di un certo film, ma c’è un altro aspetto che vorrei sottolineare.
Sebbene un prodotto sia molto violento in molti film d’autore troviamo sempre una storia, un racconto, spesso anche molto complesso, un senso profondo a quella violenza che ci consente di apprezzarne l’opera e di cogliere i significati più alti, di produrre comunque un pensiero. Mi viene in mente Alex in “Arancia meccanica”, una profonda critica sociale ai metodi di riabilitazione, così come la critica alla società borghese di Lars von Trier ecc.
Qui invece tutto è ridotto all’osso, esattamente come in un video gioco. Chi sbaglia muore, punto!
Non c’è una cornice di riferimento che possa contestualizzare la storia. Sicuramente richiama e fa riferimento ai grandi regimi della storia, dove il diverso, il nemico, il fragile, venivano deportati nei Lager e ridotti a oggetti, per il piacere perverso dei loro torturatori, in una assenza totale di umanità.
In Squid game questo viene rappresentato con un accostamento molto pericoloso, ovvero ai giochi dell’infanzia. Una nuova antropologia che vede le vittime come persone consenzienti che accettano una dolce tortura, fatta di caramello, bamboline iper-colorate, biglie, tabelloni con i punteggi e una grossa ricompensa se sopravvivi. Un vero e proprio ritorno all’età della pietra, insomma, edulcorata da tanti colori!
Un adulto può comprendere questa dimensione, un ragazzo, un bambino no.
Io penso che una serie o un film di successo possa sempre essere qualcosa su cui discutere, può stimolare una riflessione; quindi, l’invito per genitori e insegnanti è quello di proporre ai ragazzi una discussione, dove riflettere sulla modernità, sui video giochi, sulle relazioni in assenza di legami sociali, insomma forse non dobbiamo buttare via tutto, ma cogliere l’occasione per poterne parlare.
L’errore più grande sarebbe quello di lasciare i ragazzi soli davanti agli schermi, come a dire: “in fondo è solo un film, è solo un gioco.”
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