STILL LIFE (2013) di UBERTO PASOLINI

Storia e fine di un uomo solo: riflessioni

La nostra esistenza ed il suo inevitabile termine pongono spesso atroci interrogativi sulla vita.

Alcune volte sono eventi inspiegabili ed assurdi che pongono questi dubbi; altre volte è la nostra stessa natura umana che nel lento fluire della vita provoca queste domande.

John è un uomo visibilmente triste, riservato. E solo. Terribilmente solo. E fa un lavoro che rappresenta una perfetta osmosi, un riflesso, della sua persona: si occupa, come impiegato di un Comune, di trovare i parenti delle persone che muoiono sole, e cerca di offrirgli quel barlume di visibilità, almeno nel momento della sepoltura, che la vita non è riuscita a dare.

Scrive i discorsi, cura il funerale, nel suo piccolo crea la giusta atmosfera. E lo fa bene questo lavoro. E’ un riflesso della sua essenza..

Quando gli dicono che per tagli al bilancio sopprimeranno il suo ufficio, cerca in ogni caso di portare a termine un’ultima missione. E nel cercare i parenti di questa persona ha anche l’occasione di “assaggiare” i piccoli piaceri della vita.

John muore tragicamente, investito da una autovettura nell’attraversare la strada. La conferma dell’assurdo di Albert Camus.

Ed il paradosso del film è che i due funerali, quello di John e quello della persona per cui John ha lavorato fino alla fine, avvengono contemporaneamente, Quest’ultimo avrà al capezzale tutti i parenti rintracciati da John mentre John che ha lavorato per tutta la vita per i funerali delle altre persone sole come lui….non ha nessuno vicino.

La scena finale non la posso raccontare. Non saprei neanche definirla. Una speranza? Il film, di Uberto Pasolini (non parente di Pier Paolo ma nipote di Luchino Visconti) è volutamente e necessariamente grigio, lento, riflessivo, dalla prima inquadratura all’ultimo.

Ma il film è John. E non come noi lo vediamo, ma come Lui si vede. Commovente.