Sussurri e Grida di Ingmar Bergman (1972)

Il cinismo umano e la pietà degli ultimi

Sussurri e grida è principalmente un film religioso. Come altri del maestro svedese, certo.

Ma qui Bergman riesce ad ambientare all’interno di una casa i principali punti di riferimento della passione cristiana: il dolore, la pietà, la miseria umana. E lo fa conferendo a ciascuno dei personaggi un preciso e chiaramente, palesemente, metaforico ruolo: perché Sussurri e Grida è soprattutto un film simbolico.

 Il dolore, rappresentato dalla triste, melanconica ma dolce Agnese, sopraffatta da un destino mortale; la pietà, impersonificata da Anna, la governante che accudisce Agnese da 13 anni, e come gli ultimi che si rispettano in questo vile mondo, cacciata via alla fine, con una banconota in mano; il cinismo tipicamente umano e volutamente borghese di Maria e Karin, le sorelle di Agnese, passionale, narcisista ma timorosa la prima; gelida, misantropa, depressa la seconda. Tutte e due caratterizzate da quella incomunicabilità tipica dell’appartenenza alla loro classe che solo apparentemente la morte di Agnese sembra far svanire.

E di fronte all’onirica scena della risurrezione di Agnese, che chiede alle sorelle di starle vicino, di tenerle la mano, solo Anna che sa cos’è la sofferenza per aver perso la sua bambina piccola, spontaneamente, la prende a se, abbracciandola e portandola al suo seno, senza timore, senza provare quel terrore che invece Maria e Karin dimostreranno vilmente, fuggendo da lei.

Perché la pietà umana è sempre degli ultimi, di chi è già costretto nella vita a patire, e pertanto non può temere la morte: ecco il messaggio finale di Bergman. E’ inutile dire che è un ulteriore capolavoro.