Quale sofferenza può spingere ad ingoiare oggetti non commestibili e spesso pericolosi per la vita?
Swallow è un dramma psicologico che guarda allo sviluppo psichico della persona, unitamente ai suoi life events, rilevando come dietro un’azione così pericolosa ed inusuale possa esserci un significato simbolico profondamente ancestrale.
Hunter è una giovane donna sposata con Richie, affascinante uomo d’affari, figlio di una ricca famiglia. Nonostante l’apparente perfezione della sua vita, Hunter non è affatto felice, si sente solo e abbandonata. Il marito è assente, sempre fuori per lavoro e lei rimane confinata nella grande e fatiscente villa sperduta sulle colline, relegata al ruolo di moglie e casalinga. Nessun contatto, nessun rapporto sociale, Hunter gioca al cellulare, guarda la tv, pulisce casa e prepara la cena -come la brava moglie deve saper fare- in un silenzio assordante e angosciante.
Sin dalle prime scene, emergono i suoi tratti personologici remissivi, di tendenza all’ordine e alla pulizia, di dipendenza e compiacenza. Fino a quel momento Hunter non ha una personalità chiara e definita, prende le caratteristiche dagli altri richieste. Ha lasciato il suo lavoro da commessa, sta cambiando status sociale a discapito della sua identità e libertà. Perdendo frammento dopo frammento la sua personalità, forse visibile per un attimo attraverso la scelta delle tende della cameretta del futuro nascituro, se ne crea una fittizia, fino a quel primo, apparentemente innocuo evento: la scena del pranzo in famiglia. È determinante, mostra come la personalità di Hunter venga schiacciata dal nuovo contesto familiare, performante, basato sulla cura dei soli aspetti materiali della vita, privo di un qualsivoglia calore emotivo. Hunter inizia a raccontare timidamente un aneddoto della sua vita e viene, in maniera non curante, interrotta dal suocero che prende la parola per parlare di lavoro. Ecco che Hunter si ammutolisce in modo remissivo, ma è lì che si avvia il meccanismo di scompenso psicologico, il picacismo si manifesta con la pagofagia, l’ ingestione del ghiaccio.
Appare chiaro che Hunter, seppur in modo patologico, cerchi di avere un controllo sulla sua vita, cercando di svincolarsi da Richie e dai suoceri, soggetti invadenti e controllanti; non c’è spazio per Hunter, per le sue idee, per le sue emozioni, non c’è spazio per l’ascolto.
Hunter è relegata al ruolo di moglie e presto madre, non è altro che un accessorio del marito borghese, e in quanto tale non importa quale sia il suo passato, le sue esperienze.
Hunter è solo un contenitore, del futuro erede di Richie, lei non è nulla di più, nulla di meno.
Da lì il desiderio di “fare qualcosa che la renda unica’ come recita il libro di autoaiuto regalatole
dalla suocera, un susseguirsi di azioni scaturite da trigger basati sul tradimento della sua fiducia o su mancanza assoluta di attenzione verso la sua persona. si prendono cura di lei in maniera così algida e superficiale da fare eco a quel vuoto interiore in grado di riaprire vecchie cicatrici.
La suocera dispensa consigli discutibili, “Fake it till you make it”, ovvero “fingi fino a quanto non lo ottieni” riferito alla dimensione della felicità. L’aiuto che le danno è solo superficiale, fittizio, materiale, di controllo, come il garantirle le cure di una terapeuta pretendendo di violare il segreto professionale o il coinvolgere l’infermiere siriano che la perquisiva ad ogni suo spostamento. Non si assisterà mai ad un tentativo emotivamente pregno di autentica protezione ma ad un delegare medico.
Così Hunter trova un senso di vita nell’ingestione di oggetti non commestibili, iniziando da una biglia fino a manifestarsi di un rituale di ingestione – espulsione, con lo sviluppo progressivo di veri e propri rituali da picacismo.
Il picacismo o allotriofagia è un disturbo del comportamento alimentare invalidante e potenzialmente mortale, caratterizzato dall’ingestione continuata nel tempo di sostanza non commestibili, come evidenziato da numerosi studi scientifici non è raro sviluppare tale disturbo nelle donne gravide.
Significato simbolico di ingoiare – swallow – Riempire un vuoto ancestrale – come via per attuare una rivalsa, un evidente riscatto sociale – Sentirsi realizzata – riuscendo a portare a compimento qualcosa,qualsiasi essa sia.
Ingerire oggetti ha per Hunter un significato simbolico. Hunter scopre la sua forza di volontà, sente di essere in grado di fare qualcosa, sente la sua vita seppur rischiandola. Più gli oggetti sono grandi e pericolosi più Hunter è “brava”, è “capace”. Non a caso, subito dopo aver compiuto il suo rituale, un ghigno di soddisfazione le appare in viso. “Sono fiera di me stessa, ho fatto qualcosa di imprevisto” dice Hunter subito dopo aver ingoiato gli oggetti.
La protagonista vive come egosintonico il problema, in lei trapela un senso di compiacimento del proprio insolito rituale e l’assenza di qualsiasi conflittualità nei riguardi di questa pratica alimentare è ciò che colpisce maggiormente lo spettatore.
La sua distorta abitudine alimentare le procura, invece, dei vantaggi sul versante psichico: si sente più forte nell’affrontare le problematiche quotidiane e nel colmare quel vuoto affettivo. Risulta poco preoccupata del danno prodotto, non pensa un attimo al possibile danno fetale, anzi, al contrario, quando Hunter rimane incinta la sua psiche già fragile si sgretola ulteriormente.
Neanche quando l’entità del danno prodotto ha superato il limite dei vantaggi immaginati la volontà di interrompere quel comportamento si esprime.
Come è arrivata Hunter a tutto questo?
Tanti sono i comuni denominatori nell’eziopatogenesi del disturbo: il primo risulta essere il trauma relativo al suo passato, origine di tutto e origine anche di sé stessa, che ha dato il via al suo senso di non amabilità e non desiderabilità. Nella telefonata che farà alla madre emerge come Hunter viene vissuta dalla donna come qualcosa da tenere lontano, non c’è spazio per lei.
Un altro tassello fondante lo scompenso di Hunter è la sua solitudine, indicativa la scena in cui abbraccia lo sconosciuto, amico del marito, provando una bella, seppur fugace, sensazione di benessere.
Il terzo elemento di questo quadro, dal crollo prevedibile ed inevitabile, sono le carenze affettive emerse nella sua relazione: Richie è assente fisicamente ed emotivamente, non è in grado di riconoscere i dolori e i bisogni di Hunter, spesso ne è la causa, la umilia in un modo sottile e continuo.
Non riescono ad essere per lei un deterrente né l’ addominalgia o l’esordio di altri disturbi gastrici, neanche la lavanda gastrica. È la resa dei conti con il suo passato a liberarla.
Hunter cambia il registro quando affronta il padre biologico, vediamo una Hunter che non era ancora emersa durante tutta la pellicola, che è agente, protagonista nel vero senso della parola. È lei a decidere, non viene trascinata dagli eventi. Riesce così ad espellere quell’oggetto appuntito che si era sentita in gola sin dalla nascita.

Co Autore del post
Martina Di Stefano
Psicologa e Psicoterapeuta
Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in disturbi alimentari, co fondatrice del Centro Clinico Psyche servizio di Pronto Soccorso Psicologico in Sicilia.
Nella pratica clinica l’utilizzo del cinema e delle altre forme d’arte, quali lettura, scrittura e musica, possono diventare dei preziosissimi strumenti terapeutici in grado di fornire grandi benefici alla persona.
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