Tár diretto da Todd Field in concorso a Venezia 79

Lo psicoanalista svizzero Carl Jung definisce “maschera” la parte che noi presentiamo all’esterno, quella parte che nasconde tutto il nostro mondo interno e che spesso anche noi stessi non conosciamo.

È una caratteristica che ci accomuna tutti e tutte, ma il vero problema nasce quando ci identifichiamo completamente in quella maschera e allora la nostra esistenza si concentra su quel ruolo che abbiamo deciso di recitare. Tutto ciò che può interferire può risultare pericoloso per la propria identità.

Lydia Tár (Cate Blanchett) è una direttrice d’orchestra che ormai ha eguagliato e in alcuni casi, superato, i suoi maestri, dirige l’orchestra di Berlino, una delle più prestigiose al mondo, è dichiaratamente lesbica e convive con la prima violinista.

La coppia ha una figlia con evidenti problemi di integrazione che Lydia cerca di risolvere a suo modo, sempre utilizzando la sopraffazione. Nessuna dimensione relazionale sembra che possa venirle in soccorso, è una donna fondamentalmente sola che ha un’unica vera passione: la musica.

Laddove nella sua vita sembra incastrata in una maschera senza fine, nella musica Lydia è libera, una donna libera che trasmette tutta la sua forza, la sua passione: quando insegna, quando parla di musica con i collegi e soprattutto sul podio, dove sembra una vera e propria divinità.

E qui si comprende perché quella maschera è così importante, non solo per il successo, l’ambizione personale, il potere, ma soprattutto perché è attraverso la musica che il suo mondo interno si svela pienamente, senza preconcetti, pregiudizi, stereotipi di genere o di nazionalità. 

Ma quando ci identifichiamo completamente con il nostro personaggio basta a volte anche una piccola sbavatura che tutto può crollare e di sbavature Lydia ne commette tante. Ad iniziare dal rapporto con la sua assistente, Francesca, e proseguire con altre donne musiciste con le quali intrattiene relazioni non sempre solo professionali.

Quando si apre lo squarcio il mondo perfetto di Lydia Tár crolla in un attimo.

C’è una scena bellissima del film nella quale Lydia entra in un centro sociale per cercare Olga, la giovane violoncellista di cui è segretamente attratta, si trova in un luogo ameno, lei che è abituata a salire, scende delle scale buie, si trova in un lungo corridoio sporco e pieno di macerie, c’è un cane che sembra volerla aggredire, lei fugge e risalendo cade e si fa male al viso. Una sorta di premonizione di quello che accade nella sua vita quando si lasca trasportare dalle passioni sentimentali incapace di gestire.

Tár è un bellissimo film che ci aiuta a comprendere il grande disagio di chi vive nella sola dimensione autoreferenziale, narcisistica. Tutto il film si regge sull’interpretazione di Cate Blanchett, lei è bravissima e veste perfettamente i panni della protagonista. 

Il finale forse ci indica una via d’uscita o un possibile cambiamento, forse è solo la sua capacità di adattamento e la sua passione per la musica classica a guidarla anche nei momenti più buoi della sua esistenza, o forse quando la nostra unica meta è stata distrutta non resta che stare al gioco e non opporsi alla caduta.