“Andrà tutto bene”. Abbiamo letto e sentito questa frase fino all’esaurimento, eppure è proprio con questa citazione che Florian Zeller incorona Anthony Hopkins re del suo The Father – Nulla è come sembra.

Questa volta non c’è alcun cavaliere della tavola rotonda a salvare Hopkins. Solo la vita che consuma e divora il tempo, che ci ricorda quanto a volte sappiamo esistere malamente e inutilmente.

The Father – Nulla è come sembra è diretto da Florian Zeller, autore dell’originale opera teatrale del 2012 e qui al suo debutto alla regia cinematografica.  Presentata al Sundance Film Festival 2020, la pellicola è candidata a sei premi Oscar: Miglior film, Miglior attore, Migliore attrice non protagonista, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior montaggio e Miglior scenografia.

Sei premi Oscar, sei temi esistenziali magistralmente sviluppati. Accompagnati dalle note di un eterno Ludovico Einaudi, il regista trasporta lo spettatore in una dimensione surreale che invece corrisponde a una verità dolorosa e irrimediabile

1. La demenza senile, in tutta la sua irriverente e irrefrenabile degenerazione, presentata da Zeller non tanto dal punto di vista fisico, quanto dalla più disorientante prospettiva psicologica. Tutto quello a cui ci aggrappiamo disperatamente, tutto ciò che pensiamo di conoscere e che ci distingue come individui all’interno della nostra quotidianità evapora in un vortice emotivo senza pari.

Quando i ricordi si confondono con il presente, quando non sappiamo distinguere chi eravamo da chi siamo, quando la mente si fa liquida, prendendo la forma di ciò che ha davanti senza più saperlo riconoscere, cosa ci tiene ancorati alla vita?

2. Le relazioni umane. Questa è la risposta, oltre al secondo tema universale presentato in The Father. Il rapporto padre-figlia assume qui un ruolo fondamentale. Certamente non si tratta di un campo mai indagato prima in campo cinematografico, anzi. Ma non c’è nulla di inflazionato nel film di Zeller.

La domanda che lo spettatore è invitato a porsi è se sia davvero il padre – malato, in preda alla demenza senile galoppante – ad avere bisogno della figlia, o se invece non sia la figlia – ansiosa e impaurita, con un trasferimento all’estero imminente – a continuare ad avere bisogno del padre.

L’intero universo dei ruoli è messo in discussione. Tutto quel terreno minato, oggetto di indagine della psicoterapia dall’alba dei tempi, esplode qui in un incendio dalla portata emotiva inevitabilmente tossica.

Anthony Hopkins e Olivia Colman (che interpreta la figlia Anne), sono immensi nei loro ruoli. I ruoli di genitore e figlio sono messi in discussione, scomodando senza chiedere troppo permesso quel buco nero inesplorabile che è l’inconscio collettivo Junghiano.

Quelle che troviamo in The Father sono due anime in subbuglio. Una è quella di Hopkins, quella della malattia, volta a fare a pezzi la realtà. L’altra è quella della figlia, della vita, che cerca di tenerla insieme per sé stessa e per il padre.

3. Smarrimento e confusione. Ogni cosa include sempre il suo contrario, ogni simbolo, qualsiasi incontro, tutto ciò con cui entriamo in contatto nella vita ha sempre il famoso “altro lato della medaglia”. Uno non esiste senza l’altro così come molto più comunemente il bene non potrebbe esistere senza il male.

Lo smarrimento di un padre nello sperimentare l’incapacità di riconoscere la realtà per quella che è sempre stata e la confusione della figlia, generata dal senso di inadeguatezza che inevitabilmente si prova quando ci si sente impotenti di fronte al rigido ed irreversibile cinismo decisionale della vita.

4. Rifiuto. Etichettato dalla psicologia come una sindrome, il rifiuto è già abbastanza duro quando ad essere rifiutati siamo noi come individui. Tuttavia, in The Father, quando il rifiuto si appesantisce e si traveste anche da repulsione, allora il dolore si prende tutto lo spazio che gli spetta, insieme al senso di impotenza.

Qui troviamo un padre che rifiuta l’aiuto della figlia, a cui viene tolta ogni alternativa. Un soldato disarmato davanti a quello che un tempo era il suo più grande alleato e che ora si comporta da più acerrimo nemico.

5. Il declino. Non tanto quello del corpo, quanto quello dello spirito. Una continua battaglia fra l’ego dell’essere umano e la consapevolezza dell’anima che ci convince di poter giocare ad essere eterni, ad avere il controllo su tutto ciò che siamo. La mente si piega alla forza del dubbio, del mistero e della paranoia in una distorsione della realtà tale da indurre lo stesso spettatore a dubitare di quello che vede.

6. La morte. Ancora una volta, non quella fisica, ma la morte dell’individuo-spirito. Come si può piangere la morte di qualcuno che esiste ancora? Significa piangere per qualcuno così come lo conoscevamo prima che la malattia lo portasse via.

L’identità va perduta, il corpo resta.

In questa amorevole ma straziante riflessione sulla vita umana, ciò che rimane è il caos esistenziale di un delicato rapporto padre-figlia in mezzo ad un ordine quasi disturbante, inautentico, estraniante.