LINGUAGGIO, PERSONE, ANIMALI: LE SCELTE DISTOPICHE DI LANTHIMOS

Non mi risulta che Lanthimos abbia considerato “The Lobster” come il terzo atto conclusivo di un percorso composto dalla rappresentazione cinematografica di modelli sociali distopici rispetto a quelli attuali. Tuttavia è difficile pensare che non sia così.

Se in” Kynodontas”(2009) ed “Alps” (2011) primeggiavano, rispettivamente, il disallineamento tra significante e significato nel linguaggio familiare, e la sostituibilità di persone defunte e/o scomparse al fine di preservare le relazioni affettive esistenti, in “The Lobster” l’attenzione del regista greco vira su un modello distopico autoritario (e non naturale, spontaneo, come nelle altre due opere) finalizzato a garantire che la società mondiale sia strutturata sul tradizionale legame eterosessuale.

Pertanto, coloro che sono privi di un tale legame affettivo, dovranno obbligatoriamente, all’interno di un hotel, optare per un partner entro un numero brevissimo di giorni pena la loro (umiliante) trasformazione in un animale previamente scelto. Ma la scelta non è completamente libera (questo punto è essenziale): il legame – che per considerarsi definitivo dovrà superare vai step – non solo dovrà avvenire solo all’interno dell’hotel, ma si dovrà fondare soprattutto sulla comunanza di un profilo (fisico, traumatico, caratteriale, etc.) di entrambi i soggetti. Come se la similitudine di aspetti esteriori, da scoprire oltretutto in tempi strettissimi ed in una altrettanto limitata cerchia di persone rappresentasse una garanzia per un legame maggiore rispetto a quello che normalmente cementa l’affetto tra due persone, cioè una sintonia sentimentale.

David, un architetto lasciato da poco dalla moglie, entra in questa struttura, disciplinata da regole rigide, ferree, invasive della sfera sessuale, intima, personale dei suoi ospiti, ma anche atroci, quali il loro utilizzo coattivo per delle battute di caccia nel bosco vicino dove è nascosto un gruppo di fuggitivi che rischiavano la loro trasformazione in animali: la loro sedazione con particolari proiettili consente, per chi li colpisce, di aumentare, quale premio, il numero di giorni a disposizione prima della fatidica trasformazione.

E proprio questo bosco rappresenta un aspetto interessante del film. In quanto, pur nascondendo persone che hanno scelto di essere solitarie, slegate dalle leggi della società, è anch’essa caratterizzata da regole altrettanto rigide. La più rilevante riguarda l’impossibilità tra i fuggitivi di avere flirt, rapporti amorosi, e ancor meno, rapporti sessuali: come se il vero obiettivo del gruppo, capeggiato da una algida guerriera, Lea, non sia tanto la libertà personale di scegliere, ma solo quello di contrapporsi al sistema, anche a scapito degli stessi individui.

“The Lobster” è un film debole se rapportato ai suoi precedenti, soprattutto dal rivoluzionario e sorprendente “Kynodontas”. La struttura dialogica del film è identica alle due opere precedenti; linguaggio asettico, sterile, imperturbabile, apparentemente grottesco, frammentario. E la scelta, per la prima volta, di attori professionisti, che seguono le orme sul piano sembiantico del linguaggio che adottano, quali Collin Farrrell, Rachel Weisz, Olivia Colman, non aggiunge molto all’economia del risultato.

Da apprezzare sicuramente il tentativo (sempre rispetto alle altre opere anteriori del regista greco) di utilizzare ambienti naturali, quali l’impervio bosco, o i panoramici scorci marini, come si può sicuramente evidenziare una maggiora cura dei dettagli scenici.

Malgrado ciò, l’impronta “politica” del film è troppo condizionata dalla metaforizzante fasulla antinomia tra sistema ed antisistema che può invadere anche i sentimenti più puri come l’amore (al netto della facilmente intuibile scena finale), attraverso un oramai classico messaggio finale: indipendentemente da apprezzabili motivazioni, i sistemi massivi per loro natura soffocano le emozioni individuali.