THE READER -A VOCE ALTA (2008) di STEPHEN DALDRY
Le iniziazioni giovanili ti segnano per il resto della vita. Quelle erotiche, quelle sentimentali e soprattutto quelle che cementano due persone, anche se di diversa età e di estrazione sociale, proiettandole fuori dal tempo e dallo spazio, e racchiudendole in un loro mondo.
Ma questo forse nella favole. Perché il tempo e lo spazio, quasi sempre, sono relativi. Ed il tempo spesso ti scaraventa in realtà che non avresti neanche immaginato.
Gli eventi storici ti costringono a passare da attimi colmi di un amore dolce e passionale con una donna più grande di te, ad esperienze atroci, infernali, come l’Olocausto, cioè l’emblema dell’annientamento fisico e morale dell’uomo ad opera di un altro uomo. Di questo parla The Reader.
Hanna, analfabeta, aveva amato il giovanissimo Michael, adorava che Lui gli leggesse delle storie, che colmasse quel vuoto interiore che spesso la vita, per nascita, condizione sociale od altro, ti costringe a subire. Ma la morsa suprematista dell’arroganza dittatoriale fagocitò tutti in quegli anni, trasformandola un’algida custode di un campo di concentramento nazista. E quando arriva il tempo, relativo, della resa dei conti, in questo caso di un processo in cui Hanna viene accusata da un Tribunale del dopoguerra di aver scritto una relazione che avrebbe fatto uccidere centinaia di ebrei, anche l’amore più puro cede dinnanzi alla realtà delle cose.
Ecco perché l’omertà del popolo tedesco di fronte allo Shoah non si discosta molto dal silenzio che Michael, presente tra il pubblico, tenne nel processo che vedeva imputata la sua amata Hanna. Michael poteva salvare Hanna in quel processo, poteva dire che Lei non aveva scritto alcun rapporto che avesse potuto causare una strage di tanti innocenti, perché, semplicemente, Hanna non sapeva né leggere né scrivere.
Hanna, in carcere, grazie a delle cassette mandate da Michael con incisa la sua voce che racconta delle storie, imparerà, con enorme fatica, da autodidatta, a leggere e scrivere, pensando così di poter colmare, il giorno che avrebbe rivisto Michael, quella differenza che li aveva caratterizzati e che solo una forte passione compensava.
Ma non sarà così. Perché il passare del tempo umano, questo, è irreversibile, e quando Michael la rivede, diversa dalla giovane donna che era, l’incantesimo si rompe, assumendo la forma, che Lui cinicamente assume, di una ipocrita rivalsa giustizialista. Michael realizza che Hanna ha imparato a leggere e scrivere, e che è depositaria, in ogni caso, di una grave colpa, la connivenza con il regime nazista. E ad Hanna, che con tanti sacrifici aveva realizzato il suo sogno, non resta che porre fine alla sua triste esistenza.
E allora subentra un altro tempo, quello del rimorso, e della colpa. Anche questo tempo, purtroppo, è assoluto, perché è un tempo della tua mente. Lo trascini, come un fardello, fino alla fine dei tuoi giorni. E la scena del colloquio di Michael singhiozzante con la figlia di una delle innocenti vittime di quel campo di concentramento lo palesa in tutta la sua cruda realtà. Scena che, per me, è una delle più commoventi dell’intera storia del cinema, illustra su due fronti opposti il dolore segnato da una tragedia che stravolge una vita, che ti rende insensibile a tutto, ed il dolore umano che nasce dall’indifferenza e timore che, a sua volta, non ha salvato, pur potendolo fare, l’amore della tua vita.
L’odio dell’uomo verso l’altro odio è drammatico, ma lo è ancor di più l’amore che si trasforma in indifferenza, trapassando, senza vederlo, il fantasma della tua anima.
Fiennes e Winslet li conosciamo, sarebbero stati da Oscar ambedue (lo ha vinto solo la Winslet) per questo film. Un vero capolavoro del cinema contemporaneo.
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