Nel film The son il regista francese Florian Zeller ci regala un’altra intensa esplorazione della complessità della mente e dei suoi tranelli dopo aver raccontato la disgregazione di ricordi e percezione in The father.

Qui il cineasta narra la storia del diciassettenne Nicolas i cui genitori si sono dolorosamente separati. La madre fatica a comprendere e contenere il malessere del figlio e si rivolge pertanto all’ex marito, nel frattempo risposatosi e padre di un neonato.

Peter, questo il nome del padre, magistralmente interpretato da Hugh Jackman, sta scalando i gradini di una fulgida carriera di avvocato. La sua dedizione al lavoro lo porta tuttavia a stare molte ore lontano da casa. Nonostante ciò, è disponibile ad accogliere il ragazzo nel suo nuovo appartamento, affiancato dalla giovane compagna Beth, nella convinzione, condivisa da tutti, che un cambiamento porterà giovamento al turbamento di Nicolas.

Comincia così una nuova vita, ma il ragazzo continua nei suoi comportamenti autolesionistici, murato in una solitudine senza remissione che lo porta lontano dalla vita dei suoi coetanei. Emblematica la sequenza in cui il ragazzo, entrato nell’aula della sua nuova scuola, si avvia verso il banco; la voce del professore sfuma fino ad affievolirsi lasciando Nicolas nel suo mondo dalla percezione alterata.

Il padre, animato dalle migliori intenzioni, cerca di intercettare ogni segnale di miglioramento da parte del figlio generando un corto circuito di fraintendimenti. In realtà non è disposto ad ammettere l’infelicità che ai suoi occhi di uomo vincente si trasformerebbe in un’accusa contro di lui. Si può amare e aiutare chi manifesta comportamenti disturbati come Nicolas? E del resto, come si fa incoraggiare chi per definire sé stesso è costretto ad allontanarsi dall’amore? Altrettanto difficile è accostarsi al cuore di chi sta crescendo, e i genitori, per quanto amorevoli, restano ben lontano dall’anima del ragazzo che si nega.

La scontrosità e ruvidezza degli adolescenti è quasi impossibile da scalfire, inaccessibile soprattutto perché il troppo amore alle volte può essere pericoloso al pari della sua assenza. La bellezza algida degli ambienti e l’irraggiungibilità verticale della città di New York amplificano ancor più la solitudine del ragazzo.

Il suo malessere risiede proprio nella ineffabilità e nella mancanza di un lessico che possa circoscrivere la depressione che si nutre di solitudine e di alienazione.

Peter, amorevole nel suo tentativo di sollevare Nicolas dalle incombenze del vivere, gli propone tuttavia un modello virile ed efficientista per sconfiggere la sua inerzia; ma in questo modo finisce con l’avvalorare la sfiducia del ragazzo che, invece, si sente inabile a vivere. Perché la malattia è l’incapacità di una reale consonanza con gli altri. Perfino il fratellino, inquadrato in modo diretto solo all’inizio e alla fine del film, diventa una figura marginale, incapace di smuovere l’apatia di Nicolas. La vita che afferma sé stessa non è in grado di sconfiggere il tedio, attivando le corde della cura e dell’affettività. I visi dei protagonisti sono maschere attraversate da improvvise fitte di incredulità, come ferite che si aprono sull’indicibile. Un genitore spesso si illude di controllare la vita del proprio figlio financo governandone l’umore; qui, in questo doloroso e essenziale percorso di autoconsapevolezza, un padre e una madre scoprono la loro vulnerabilità e l’infondatezza delle sicurezze su cui si basa la vita familiare.  

La novità del film sta nel proporre un punto di vista tutto maschile sui guasti che talvolta l’amore può produrre. A sua volta Peter lascia affiorare un’incrinatura nella sua vita ricca e perfetta; infatti un rapporto pieno di recriminazioni con il padre ha reso impossibile ogni contatto tra i due. Una rete di rinunce e omissioni li ha avviluppati e le conseguenze della loro incomunicabilità pesano come macigni.  Si tratta di modelli paterni schiaccianti e non privi di una loro indubbia seduzione per il senso di forza e appropriatezza delle scelte che emanano. Tuttavia è proprio su questa idea di efficienza e di vita votata al lavoro che si gioca il senso di colpa che corrode le loro esistenze. In particolare, è sull’ultimo della catena che il senso di inettitudine ha preso il sopravvento.

 Nicolas, infatti, non sa cosa lo afferri e lo ghermisca, sa solo essere crudele quando qualcuno prova a violare il suo segreto.

La forza indubbia del film sta proprio quando lascia andare la pretesa di spiegare le radici della malattia abbandonandosi invece al rimpianto dell’amore; il vero focus risiede nella ricostruzione della primissima infanzia quando il senso di protezione ha i caratteri dell’assolutezza. Le immagini di una vacanza in Corsica che aveva coinvolto i tre quando Nicolas aveva sei anni vengono sapientemente distillate in tutta la durata del film.

The Son

Scampoli di memoria vividi e capaci di ricomporre il filo di affetti perduti.  Il rimpianto dell’amore ha bisogno di essere trasformato altrimenti, se cristallizzato, diventa idealizzazione di un’età dell’oro, e chi non accetta il cambiamento è destinato a perire.