The Whale (USA, 2022). Regia: Darren Aronofsky. Interpreti principali: Brendan Fraser, Sadie Sink, Hong Chau, Samantha Morton, Ty Simpkins

Lasciami il tempo di salutare, di riverire di ringraziare

tutti gli artefici del girotondo attorno al letto di un moribondo

Fabrizio De Andrè, Il testamento, 1966

Fuori piove, è un mondo freddo, cantava Paolo Conte. E il mondo rimane fuori dalla porta di una casa in perenne penombra; al suo interno Charlie, un professore di mezza età con troppi chili addosso, tiene un corso di creative writing online, mantenendo però oscurato con una scusa il rettangolino dello schermo che dovrebbe mostrarlo, e che si trasforma nel formato 4:3 in cui è girato il film.

Autorecluso tra le mura di casa da anni e ingrassato fino all’inverosimile, Charlie non riesce più a farsi vedere nel mondo vero e si impegna a spiegare ai propri studenti come scrivere una storia al meglio delle loro possibilità. Lui la sua la sta già scrivendo da tempo, ed ha anche deciso il finale. Nello spazio chiuso del suo salotto si alternano l’amica infermiera Liz, unica a prendersi cura di lui, un giovane che appartiene a una confessione e sta cercando di fare proseliti, la figlia sedicenne Ellie e la moglie, entrambe abbandonate nove anni prima per andare a vivere con un nuovo compagno; morto il quale, Charlie ha iniziato a nutrirsi di pizze a domicilio e bibite gassate fino a erigere, tra sé e il mondo esterno, un’insormontabile barriera di ciccia, così spessa che nemmeno una coltellata potrebbe raggiungere i suoi organi vitali.

Ellie è assertiva e scontrosa, pronta a rinfacciare al padre tutto l’odio maturato per essere stata abbandonata. Charlie sta per morire e lo sa: non vuole ricoverarsi né farsi aiutare da Liz. Il lento suicidio iniziato con la morte del suo compagno sta per compiersi. “Muori al momento giusto”, ci ammonisce Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”: ma malgrado un tentativo di accelerare la fine ingozzandosi di fette di pizza, Charlie rimane ancora sulla sua sedia a rotelle per grandi obesi ad affrontare le colpe che si è autoinflitto e che hanno segnato la vita delle persone che amava. Rimane ancora da chiudere il conto con Ellie, ben oltre le scuse di circostanza che Charlie offre a tutti come una merce di poco prezzo. I suoi “mi dispiace” sono autentici, ma privi di una vera elaborazione. Si fermano all’apparenza di un corpo sfatto, solcato da piaghe purulente e reso quasi immobile dalla deformità, provano ad emendarsi intuendo nelle altre persone fiducia e positività, ma non sanno andare oltre. Almeno fino a quando non riuscirà a riconoscere il proprio peccato e dargli un nome.

La parabola di questo uomo immenso e fragile, il suo viaggio di trasformazione, si compie in cinque giorni, durante i quali la consapevolezza della fine viene assorbita dal ricordo di una famiglia ancora unita, in un giorno di festa su una spiaggia del Pacifico, sotto un cielo terso e un mare in cui immergersi. Non le onde schiumose di Moby Dick e del capitano Achab, solcate da rabbia e desiderio di vendetta, ma una distesa azzurra e pacificata dove nuotare senza più pesi da portare appresso. Ellie non riesce a vedere i propri talenti, accecata com’è da una rabbia senza nome: ma nei suoi componimenti brevi, haiku involontari in cui racchiude il proprio dolore, riesce a trasmettere una capacità di cui non è ancora consapevole. Il padre, nel loro breve incontro, le darà gli strumenti per affrontare se stessa e il futuro che l’aspetta.

Tratto dall’omonima pièce teatrale di Samuel D. Hunter, il film si avvale di un protagonista in stato di grazia, capace di raccontare il dolore del corpo e le afflizioni della mente attraverso un repertorio espressivo e una gestualità scenica di fortissimo impatto emotivo. Il film si presenta tra i favoriti per la conquista del Leone d’Oro e della Coppa Volpi per il miglior attore protagonista.