Time to love (titolo originale Sevmek Zamani, Turchia, 1965). Regia: Metin Erksan. Interpreti principali: Müsfik Kenter, Sema Özcan, Süleyman Tekcan, Fadil Garan, Oya Bulaner, Deniz Çakir, Ayban Erkmen, Adnan Uygur
Ci sono film in cui non accade niente, ma è un niente denso di metaletture simboliche. Li si può vedere stanchi dopo una giornata di lavoro, e ci si addormenta. Oppure attenti, e allora le strade sono due: o si riesce a entrare nelle visioni che la storia racconta, facendole proprie, trasferendole su di sé ed accedendo a ricordi, sensazioni, idee; o non si riesce ad attraversare quella soglia invisibile, e allora ci si sente frustrati, un po’ arrabbiati, e si decide di derubricare il film a racconto inconcludente attraversato da momenti di umorismo involontario.
Time to love, recentemente restaurato da MUBI in memoria del regista, cammina su questo crinale.
Halil è un imbianchino vagamente rassomigliante a Jean Gabin e durante l’inverno, insieme all’anziano socio Mustafa, lavora alla tinteggiatura di alcune ville sulle isole di fronte a Istambul. In una di queste ha trovato un grande ritratto fotografico della padrona di casa e dopo il lavoro penetra nella villa e si siede sulla poltrona davanti alla fotografia, rimirandola per ore.
Un piovoso giorno d’autunno Meral, la ragazza del ritratto, torna nella villa insieme a due amiche, lo trova nel grande salone e gli chiede spiegazioni: con qualche titubanza Halil le racconta di essersi innamorato del ritratto. Meral lo ascolta e lentamente si innamora di lui: non sappiamo se è la distanza sociale (lei figlia di un ricco borghese della capitale, lui artigiano che lavora lontano dalla città, su un’isola battuta dal vento), se l’intensità assoluta di un sentimento mai accostato in precedenza, se l’unicità della situazione o la voglia di evadere da un fidanzamento poco convinto. Ma Halil non cede alle richieste della donna del cui ritratto è innamorato. Perché è la grande fotografia ad aver toccato il suo cuore, e non il soggetto che ritrae: la fotografia non cambierà, non lo deluderà mai, rimarrà uguale nel tempo; mentre una relazione può essere volubile, il suo tracciato incerto, la sua fine probabile. Halil non vuole rischiare e si nega, malgrado Mustafa gli parli e provi a convincerlo che la vita va sempre vissuta, a costo di raccogliere una delusione.

Una serie di episodi successivi, in cui compaiono il padre e il fidanzato di Meral, avvicinano e allontanano i due giovani, in un balletto di sentimenti da film francese; fino a quando lei, stanca dei rifiuti di lui, decide di sposare il fidanzato. Mentre Halil, tenendo accanto a sé il ritratto che lei gli ha regalato, salirà su una barca scivolando sulle acque di un lago insieme al vestito da sposa che le ha comprato e a un manichino che lo indossa.
Ambientata in un autunno piovoso e ostile, fotografata in uno splendido b/n e con avvolgenti musiche orientali, questa parabola racconta le distanze che gli esseri umani mettono tra sé e una possibile felicità. Il rischio nell’affrontare una scelta è la modalità principale di inquadrare il problema, e l’avversione al rischio è ciò che muove gli uomini: secondo Kahneman le persone preferiscono un guadagno sicuro, anche se minore, rispetto a uno superiore ma incerto. Certo la scelta di Halil non può essere confinata soltanto all’interno di una cornice razionale con un dentro e un fuori: è vero che i vetri su cui scivolano le gocce di pioggia che cadono per tutto il film separano i due protagonisti, con l’acqua che trasfigura le loro immagini. I due volti sono speculari, sono vicini, me le due anime si toccano per poi rimbalzare lontane. Solo l’immagine resiste, l’immagine del ritratto e di un amore perfetto, che il tempo e la pioggia non intaccano con le abitudini quotidiane, i fraintendimenti, le piccole meschinità, le ciabatte strascicate, i peli nel lavandino e i capelli nella doccia. Un amore perfetto ma non consumato e quindi fermo alla cornice che uno dei due amanti ha scelto, non a caso quella del viso di lei. E tanta solitudine.

Contrariamente al ritratto di Dorian Gray, che finisce in soffitta e invecchia al posto del personaggio che vi è dipinto, la fotografia di Meral attraversa tutto il film insieme ad Halil, che se la porta dietro come se fosse una persona viva, tenendola sotto il proprio braccio, camminando, navigando. E non cambia mai. Fino a quando Halil, carico di fatica e di pensieri, di una storia che solo lui ha vissuto senza condividerla, prenderà il coraggio a due mani e farà una scelta radicale. Se sarà stato troppo tardi, per lui e per molti di noi, ce lo dirà il regista nella scena che conclude il film.
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