Oscurità e ossessione

La seconda opera di Pablo Larraìn è ambientata a Santiago del Cile nel 1979. Ogni sabato sera, in un’atmosfera che sembra lontana dalla realtà che circonda il Paese dilaniato dalla dittatura di Pinochet, Raúl Peralta si trasforma nel suo personaggio preferito: Tony Manero, l’icona scintillante de La Febbre del Sabato Sera. La sua ossessione lo porterà a perdere la percezione del mondo circostante, generando una spirale inarrestabile di caos e tragedia.

Per comprendere meglio questo complesso personaggio è importante soffermarsi sullo spaccato politico e sociale di quel periodo: la città era immersa in un clima di forte tensione a causa delle conseguenze del colpo di Stato del 1973. Il generale Pinochet aveva infatti rovesciato il governo democraticamente eletto di Salvador Allende. I problemi economici, l’aumento della disoccupazione e dell’inflazione pesavano soprattutto sulle classi socialmente meno fortunate della società.

Inoltre, il regime era noto per le sue azioni politiche spietate, con detenzioni arbitrarie, torture e uccisioni di oppositori. Le proteste e le manifestazioni pubbliche erano severamente represse e qualsiasi forma di critica al governo era perseguita. La libertà di espressione e di stampa erano fortemente limitate con la censura dei media e la chiusura di organizzazioni politiche e sindacali. Tutto ciò creava un clima di paura e silenzio, dove la popolazione era costretta a vivere con la costante minaccia di violenza e persecuzione.

In questo contesto incontriamo un uomo di cinquantadue anni affetto da una marcata sociopatia, privo di quel senso di moralità e compassione che dovrebbe caratterizzare la natura umana. Seguiamo attentamente la sua inquietante trasformazione da un semplice ladruncolo a un assassino spietato, deciso ad eliminare dalla sua strada chiunque si frapponga tra lui e la sua ossessione. Ciò che anima la sua esistenza è riuscire a vincere un concorso televisivo che incoronerà la migliore controparte cilena del celebre personaggio interpretato da John Travolta.

Dal punto di vista psicologico, ci viene presentato uno studio intenso e inquietante di un’anima oscura che si accende quando balla. Anche se la sua danza, composta dai passi meticolosamente copiati dal film hollywoodiano, è priva di espressione. La camera a mano del regista si trasforma in uno sguardo penetrante alla complessità dei rapporti di Raúl con le poche persone che fanno parte della sua vita, coinquilini di un appartamento decadente. Attraverso sesso e danza, esercita il proprio potere su di loro. Nel corso della narrazione, assistiamo alla sua implacabile crudeltà, sia nel causare danni fisici che emotivi, senza che si manifesti alcuna traccia di rimorso o pietà.

E perché l’identificazione con Tony Manero? Possiamo notare Raùl fare il suo ingresso nella sala cinematografica solo dopo l’inizio del film, suggerendo che potrebbe abbandonare la proiezione prima della sua conclusione. Forse non ha mai aspettato la fine del film. Forse immagina un epilogo alternativo: Tony Manero danza trionfalmente, liberandosi da Brooklyn e da un’esistenza priva di prospettive. Una vita caratterizzata da impieghi monotoni, una famiglia italiana cattolica opprimente e una violenza tribale priva di significato, per intraprendere la strada gloriosa dell’illustre stardom. Questo potrebbe spiegare il desiderio di Raúl, un uomo economicamente svantaggiato e privo di istruzione, di incarnare concretamente il personaggio di John Travolta. Inoltre, la rappresentazione di Larraìn di un periodo di terrore che ha segnato la storia del suo paese, fornisce un importante sottotesto che dà un senso, seppur sfuggente, alle azioni del protagonista.

Alfredo Castro regala un’interpretazione superlativa, catturando con austera maestria la perfidia e la viltà di questo personaggio. Le sue espressioni, e persino la loro assenza, comunicano in modo efficace, portandoci all’interno dell’oscurità di Raùl.

Dietro la macchina da presa, il regista mantiene un approccio semplice ma efficace. La trama granulosa del film evoca un’atmosfera tipica dei film degli anni ’70 e ’80, catturando appieno la sensazione che si proponeva di trasmettere. La tavolozza cromatica del film, con le sue sfumature di grigio, enfatizza la desolazione del periodo storico. I toni cupi si bilanciano perfettamente sia con le atmosfere scatenate delle sale da ballo, sia con le pulsazioni disco che accompagnano a tratti la colonna sonora. Si crea così un notevole equilibrio tra disperazione e melodia. L’uso crudo delle scene di sesso sottolinea l’assenza di apprezzamento da parte del protagonista per tutto ciò che non sia la sua ossessione, poiché nulla può scalfire la sua determinazione e il suo processo di trasfigurazione.