Uomini sul fondo (Italia, 1941). Regia: Francesco De Robertis. Interpreti principali: Diego Pozzetto, Felga Lauri, Nicola Morabito, Marichetta Stoppa

In questi giorni molti di noi sono stati colpiti dalla vicenda del sottomarino (più corretto sarebbe chiamarlo batiscafo) Titan, che avrebbe dovuto condurre pochi esploratori ad osservare da vicino il relitto del Titanic, al largo di Terranova, e di cui nella realtà si sono perse le tracce subito dopo l’immersione, per poi scoprire dopo qualche giorno che tutti i passeggeri erano morti.

Ne hanno parlato a lungo i giornali soffermandosi sulla sfida tecnologica, richiamando altre tragedie analoghe, evidenziando gli errori umani e la notorietà dei passeggeri. Molto si è polemizzato anche sul differente trattamento, da parte dei soccorsi, rispetto ad altri naufragi a noi più prossimi. A me la vicenda ha rammentato per assonanza la vicenda del Kursk, naufragato nelle profondità del mare di Barents nell’estate del 2000 provocando la morte di tutti i 118 componenti dell’equipaggio: a seguito dell’esplosione che provocò l’incidente la maggior parte di loro morì subito, ma in 18 riuscirono a salvarsi e a ripararsi in uno dei compartimenti rimasti isolati.

Kursk Memorial a Murmansk – foto di Christopher Michel

Uno di loro, Dmitrij Kolesnikov, scrisse un breve diario di quei momenti, che fu ritrovato un anno dopo con il recupero del sommergibile che si era adagiato sul fondo del mare a poco più di 100 metri di profondità.
Cosa può pensare un uomo in quei momenti? Sa che le possibilità di salvezza sono poche, e anche se non esclude un miracolo sente di essere in attesa della propria morte. Meglio morire in un attimo o avere la possibilità di trovare dentro di sé la pace? Cosa hanno detto i passeggeri dei voli dirottati l’11 settembre nelle telefonate che erano state loro concesse prima dello schianto? Quali immagini ci passano davanti, a quale velocità? Possiamo accoglierle o rimaniamo preda della disperazione più totale?

A partire dal 1904 sono più di 150 i titoli che hanno trattato storie di sottomarini, compreso “Yellow Submarine” (1968), film d’animazione ispirato ai Beatles e “Kurks” (2018) di Thomas Vinterberg, ma solo una dozzina di essi ha avuto come tema l’affondamento.

Francesco De Robertis era un ufficiale della Marina Militare nominato direttore del centro cinematografico del Ministero della Marina. Considerato tra i precursori del Neorealismo, fu in effetti un narratore di storie reali, recitate da attori non professionisti che nella vita facevano altro: in questo film gli attori sono tutti sommergibilisti, abituati a muoversi negli spazi angusti di uno scafo votato alla guerra e alle profondità.

Nel corso di un’esercitazione il sommergibile A103 ha un incidente e affonda. Alcuni uomini, utilizzando un cilindro di salvataggio, riescono a emergere e dare l’allarme. Si avvicinano alcune navi di salvataggio (una delle quali chiamata Titano) per le operazioni di salvataggio e per provare a riportare in superficie lo scafo.

Questo film, anche se ha più di ottant’anni, ci parla ancora: racconta un naufragio nel nostro mare, descrive uomini che svolgono il proprio lavoro con efficienza e rapidità, la loro interazione con i macchinari che ne governano il destino, la necessità di prendere decisioni in emergenza e le dinamiche che ciò comporta all’interno di una gerarchia ben definita; parla di fedeltà al superiore e alla bandiera (e infatti ci sarà chi accetta il rischio di sacrificare la propria vita pur di salvare il sommergibile), di corpi rigidi sull’attenti e silenti nell’impossibilità di esprimere le proprie emozioni. Al netto della propaganda bellica (il film è del ’41 e il committente è il Ministero), che enfatizza l’efficienza e l’eroismo dei marinai, ci racconta la vita di bordo e lo strappo improvviso che divide la routine quotidiana dal dramma.

Ma ci parla con un taglio moderno, del tutto godibile, con inquadrature studiate nel dettaglio, una fotografia quasi espressionista e un ritmo assolutamente contemporaneo, a dimostrare che anche un mestierante misconosciuto come De Robertis ha lasciato dietro di sé lavori ancora oggi interessanti. La superficie del mare è grigia e agitata, sotto è adagiato in orizzontale uno scafo ormai inerme, dal cui però viene espulso un cilindro chiuso ermeticamente grazie al quale risale in superficie un marinaio alla volta.
Liquide e solo immaginate, sono linee orizzontali e verticali che si incrociano a evocare sia uno strumento di morte sia la salvezza dallo stesso generata: una T rovesciata che riporta alla superficie gli uomini e lascia lo strumento di morte sul fondo.