Yuppi Du (Italia, 1975). Regia: Adriano Celentano. Interpreti principali: Adriano Celentano, Charlotte Rampling, Claudia Mori, Gino Santercole, Memo Dittongo, Lino Toffolo, Domenico Seren Gay, Rosita Celentano, Sonia Viviani
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta Adriano Celentano era garanzia di incassi al botteghino. Film semplici, storie piuttosto esili ma sufficienti ad affiancare la bellona di turno al molleggiato e alla sua verve. Qualche anno prima, però, come regista (ma anche autore delle musiche, co-sceneggiatore, montatore e protagonista) Celentano aveva offerto al pubblico una versione diversa di sé: definirla autoriale sarebbe un po’ forte, perché alcuni fondamentali della tecnica cinematografica andavano decisamente per conto loro. Ma l’insieme era un curioso amalgama di anarchia musicale e dialoghi surreali: una sorta di struttura a strappo, come la linguetta di una lattina. Se poi esplodesse ciò che di frizzante era contenuto o ne uscisse un breve rumore di sfiato dipendeva dagli occhi di chi vedeva il film.
Era così, prendere o lasciare.
Celentano ci mise il talento e l’entusiasmo, e a molti spettatori bastò perché un musical del genere, ambientato in una Venezia fuori dai percorsi consueti, non si era mai visto. Il risultato fu un caleidoscopio di trovate originali montate alla rinfusa, più un flusso di coscienza che una storia da grande schermo.
Felice è un barcaiolo e vive a Venezia con la moglie Adelaide e la figlia Monica, avuta da una precedente relazione con Silvia, che qualche anno prima aveva inscenato il proprio suicidio. La sua abitazione è misera e insalubre: la mattina scendere dal letto significa mettere i piedi nell’acqua.

Ma lui sembra sereno, con la figlia e una moglie che ama, e un sentimento mai dimenticato per Silvia, cui dedica un ricordo ogni volta che si reca sotto un ponte, nel punto esatto in cui è scomparsa. E proprio lì un giorno lei riappare per dirgli che l’amore non basta e non voleva più vivere nella miseria cui lui l’aveva costretta. Tra risse, coltelli, messe solenni, barche che affondano, giochi di parole, ecologismo ante litteram e coreografie nei campielli, il film si srotola per quasi due ore. Una comparsata di Jack La Cayenne, che chi ha qualche primavera sulle spalle ricorderà nello sketch della tazzina, alcune scene con l’unico veneziano del gruppo, Lino Toffolo, e un malinconico Gino Santercole in sedia a rotelle, fanno da contorno a uno strabordante protagonista e a una Charlotte Rampling dal fascino misterioso, uniti in una danza quasi tribale ai margini della laguna.

Un altro film lontano nel tempo ma anche fuori dalla cornice sempre più stretta alla quale ci ha abituato il cinema iperprofessionale di oggi, con i suoi dosaggi millimetrici di sesso e denaro, rallenty e droni. Buñuel è morto, Jodorowsky è invecchiato, Lynch è rientrato nei ranghi e a pensarci bene anche Celentano nelle sue successive esperienze da regista si è imborghesito. Yuppi du, oltre alla canzone malinconica che dà il titolo al film, rimane un esperimento riuscito forse a metà, ma di un vitalismo e una creatività fuori dagli schemi che oggi stancherebbe uno spettatore addomesticato ma potrebbe ancora strappare un sorriso di meraviglia a chi dentro di sé mantiene l’animo di un bambino.
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