Zelig (USA, 1983). Regia: Woody Allen. Interpreti principali: Woody Allen, Mia Farrow, Gale Hansen, Garrett M. Brown, John Rothman, Emma Campbell, Susan Sontag, Irving Howe, Saul Bellow, Bruno Bettelheim
In soli 79 minuti e nella forma innovativa del mockumentary (falso documentario), di cui costituisce forse l’esempio più famoso, con Zelig Woody Allen riesce a raccontare insieme il bisogno di appartenenza e il potere dei media. Privato e sociale, desiderio intimo e bisogni collettivi, confluiscono in un concatenarsi ininterrotto di vicende commentate dai grandi pensatori del tempo, da Susan Sontag e Bruno Bettelheim.
Nella New York del 1928 un uomo qualunque, di nome Leonard Zelig, inizia a trasformarsi assumendo sembianze e personalità di coloro ai quali si trova di fronte. Così diventa un gentiluomo altolocato durante una festa dell’alta società e subito dopo un domestico che si confonde tra i suoi simili, si trasforma in un componente dei gruppi etnici con cui entra in contatto, e in qualche modo rimuove il vero sé che da qualche parte continua ad esistere.

Di questa esistenza apparentemente del tutto originale iniziano ad approfittarne la sorellastra con il marito, esibendolo come fenomeno da fiera e poi, in un crescendo che sembra destinato a non avere fine, la stampa dell’epoca.
Zelig è tutto e niente: una persona che riesce a sostenere con cognizione di causa qualsiasi conversazione in contesti sconosciuti, e insieme un uomo che non si offre la possibilità di accedere alla propria unicità. Zelig costruisce ogni volta un soggetto simile a quelli che gli stanno accanto al fine di essere riconosciuto ed apprezzato, ma è anche preda di un sistema di comunicazione che rincorre il fenomeno, la notizia, per farne il personaggio del momento.

Anche la dottoressa Eudora Fletcher, inizialmente interessata a lui come trampolino di lancio per la propria carriera, durante la psicoterapia inizia a intravedere nell’uomo qualcosa che lui, o la sua malattia, si ostinano a celare. Ma le molte personalità e sembianze del suo passato hanno lasciato dietro di sé tracce tangibili, per le quali Zelig viene accusato ed è costretto a sparire. Riapparirà in un cinegiornale, al fianco di Hitler, durante un comizio.
Girato con materiale tecnico (pellicole e cineprese) originale degli anni Venti, il film racconta con modalità di documentario, quindi con una cronaca apparentemente originale, la realtà di un personaggio che della falsità ha fatto il proprio stile di vita per il desiderio di essere come tutti. Un cortocircuito narrativo geniale, in cui si associano una critica feroce alla spettacolarizzazione di fenomeni da dare in pasto al pubblico (come ne La donna scimmia di Marco Ferreri) e il bisogno di conformismo che alberga in varia misura in gran parte degli esseri umani: per convenienza, cinismo, bisogno di stima, timore di essere fuori luogo, paura che gli altri scoprano la propria fragilità, esigenza di nascondere debolezza o ignoranza. Quale che sia il motore che spinge uomini e donne ad aderire a un sé ideale da proiettare in ambito pubblico, se una fragilità psichica o un calcolo esistenziale, Zelig racconta con toni farseschi e surreali una realtà che fa parte del nostro intimo.
Rifiutarsi di rispondere “Non lo so” a una domanda di cui non conosciamo la risposta dovrebbe essere qualcosa di semplice, affatto eversivo o complicato. Eppure il timore di non sembrare all’altezza ci fa optare per altre soluzioni, in cui la nostra ignoranza venga nascosta come qualcosa di inaccettabile. E’ lì, in quello spazio tra onestà e finzione, che si gioca la possibilità di essere autentici, accettandone le conseguenze ma anche riconoscendosi la possibilità di esistere davvero.
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